STORIE
Il sonno eterno di Rosalia: il maestro che "addormentò" la piccola dei Cappuccini di Palermo
Rosalia Lombardo è considerata la mummia più bella del mondo. Quello che molti non sanno è che fine abbia fatto colui che la rese "immortale": il maestro Alfredo Salafia
Rosalia Lombardo
Due anni dopo, però, come per un brutto incantesimo, la gioia dovette lasciare il posto al dolore: il suo cuore, infatti, cessò di battere per sempre, provocando ai genitori uno shock talmente profondo da non riuscire a distaccarsi totalmente da lei.
Purtroppo in questo caso nessuna fata turchina arrivò in soccorso per un lieto fine, perché questa è una storia vera, accaduta poco più di un secolo fa a Palermo.
È la storia di Rosalia Lombardo, la famosa "bella addormentata" che riposa nelle Catacombe dei Cappuccini, e del suo imbalsamatore.
Rosalia, nata nel capoluogo siciliano il 13 dicembre del 1918 da una famiglia facoltosa, era una bimba dalle guance tonde, i capelli biondi e con lunghe ciglia che contornavano gli occhi vivaci. La sua voglia di vivere, però, non bastò a sconfiggere la malattia che la colpì poco prima di spegnere le candeline del suo secondo compleanno.
Tanto che il padre Mario, un ufficiale di fanteria, e la madre Maria Di Cara decisero di farla imbalsare, così da permetterle di "vivere" in qualche modo in eterno: un arduo compito che affidarono ad Alfredo Salafia.
Quest’ultimo, definito dall’antropologo Dario Piombino-Mascali come «Il maestro del sonno eterno», era un celebre imbalsamatore palermitano che nell’arco della sua esistenza regalò "l’incorrutibilità" a più di cento defunti, fra cui anche personaggi illustri del calibro di Francesco Crispi e Giuseppe Pitrè.
Nessuno meglio di lui era in grado di impedire al tempo di deteriorare la bellezza di una bambina con ancora tutta la vita davanti, ma che un destino crudele portò via senza un perché. Salafia, infatti, era noto per avere sperimentato un metodo conservativo molto efficace, un «fluido che veniva venduto in tutta America».
La formula, basata sull’iniezione intravascolare di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool e acido salicilico, sembrava essere andata persa. Invece, grazie a uno studio da parte dell’antropologo siciliano di un taccuino conservato dagli eredi, è stata riportata alla luce qualche anno fa.
Il corpicino di Rosalia, «che aveva tutti i presupposti per essere imbalsamato a regola d’arte», fu trattato presumibilmente dopo 24 ore dalla morte nella sua casa in piazza San Francesco di Paola, per poi essere trasportato nelle Catacombe, dove rimase a lungo chiuso in una cassa che inizialmente «veniva aperta solo per motivi legati alla commemorazione familiare».
Probabilmente neanche Salafia riuscì a «rimanere impassibile davanti a tale dolore» tanto che, come sappiamo dal professor Piombino-Mascali, aggiunse perfino «uno stratagemma estetico, come l’uso di una protezione alle labbra, che appaiono addirittura colorate, e forse anche un trattamento del volto».
Una cura che permise a Rosalia di diventare la “mummia più bella del mondo”: la bimba, infatti, sembra quasi che dorma nella piccola bara che la ospita, con le sue guance paffute e gli occhi chiusi, ma come pronti a riaprirsi da un momento all’altro per riprendere a guardare il mondo e i genitori che l’avevano tanto amata.
È passato poco più di un secolo e ancora oggi sono tantissimi i visitatori che vanno ad ammirare Rosalia e la sua delicata purezza, scoprendone la storia in tutta la sua unicità. Quello che, però, in molti non sanno è che fine abbia fatto Alfredo Salafia, colui che la rese immortale allo sguardo.
Che ne fu del suo corpo?
Il professore morì improvvisamente nel 1933 a causa di un’emorragia celebrale e fu tumulato nel cimitero di Santa Maria di Gesù, ma qualche anno dopo si provvide allo spurgo della giacitura.
«La vicenda dei resti mortali di Salafia, d’altronde, riflette una situazione molto comune nei cimiteri, laddove la carenza di posti induce a sacrificare delle sepolture storiche a scapito della memoria collettiva» - racconta Piombino-Mascali. Il noto imbalsamatore era stato seppellito con un abito blu, unico elemento che si conservò negli anni.
«Secondo Padre Amedeo Cordua, al tempo soprintendente religioso del cimitero, i resti erano infatti frammentari e si sbriciolavano al tatto» - continua l’antropologo - «Quindi, quel che rimaneva di lui venne adagiato sul fondo della tomba. E così, rimane almeno il ricordo che il professore giacque lì, a poca distanza dai Florio e da Mercantini».
Sembra quasi un paradosso per l’uomo che fermava l’istante rendendo “immortali” persone famose e non, eppure questa è la dimostrazione che alla fine siamo tutti uguali e che bisognerebbe scegliere come vivere piuttosto che come sopravvivere alla morte.
Chissà, forse è proprio questo il messaggio che Salafia, senza volerlo, ci ha lasciato.
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