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Il nome ricorda Palermo, il suo castello il "Gattopardo": i tesori di un borgo in Sicilia

Vi portiamo tra le bellezze di un borgo in provincia di Trapani, dove cultura e natura si mescolano tra chiese, castelli, boschi e (non da meno) e deliziosi piatti tipici

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 29 luglio 2024

Santa Ninfa

«A Santa Ninfa soccu putemu offriri a li turisti? Lu tirrimotu si purtà tutti cosi appressu. U n’avemu cchiu nenti ni stu paisi!» Sono parole colme di rimpianti e ricordi espresse da un anziano cittadino santaninfese. Trapela il disfattismo per avere visto - con i suoi occhi - una tragedia senza precedenti.

Il terremoto della notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 rase al suolo l’80% del vecchio centro cittadino (inoltre si ebbero 440 morti e 998 feriti). Lo stesso che, oggi, proviamo a immaginare diverso nonostante gli sforzi immani per rimettere in piedi il comune. Dalla sua fondazione (1605 o 1606) voluta da un “certo” Don Luigi Arias Giardina (grazie all’approvazione di re Filippo III) sono cambiate molte cose. Ma non è il tempo di abbattersi.

Lasciate le coste selinuntine, uno dei comuni confinanti con la città di Castelvetrano è appunto Santa Ninfa. Le distese di uliveti, tipiche della zona, hanno rappresentato le basi su cui “aggrapparsi per la rinascita”. La brezza marina è un lontano compagno di viaggio, adesso è tempo di “ciavuru di paisi”. Anche i vigneti diventano nostri alleati.
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Sono passati quasi 420 anni da quando il commerciante (Arias Giardina) di granaglie e pistacchi dalla Sicilia all’Oriente cominciò a mettere le basi per urbanizzare il territorio con strade e costruzioni civili e religiose. Il centro fu costruito con assi viari concentrici che convenivano nella piazza centrale. Successivamente una serie di nobili architetture arricchirono il luogo.

La Chiesa di Sant’Orsola, Sant’Anna, Madre e il Convento di San Francesco divennero luoghi di culto. Senza dimenticare il Palazzo Baronale, l’ospedale e le carceri che trovarono il loro “spazio urbano”.

Oggi, di tutto questo, cosa rimane? Tra saliscendi da non sottovalutare, la camminata conduce verso Piazza Libertà. Le aspettative sono alte, almeno nelle intenzioni. Il distacco tra vecchio e nuovo è accentuato dalla presenza delle abitazioni antisismiche. Queste ultime “allontanano” gli edifici storici.

Purtroppo, causa sisma, rimane ben poco del passato. La Chiesa del Purgatorio ha, nonostante tutto, il suo fascino. Intitolata a Sant'Orsola (in onore della figlia del fondatore), la struttura fu donata nel 1629 alla Confraternita della Concezione. Spiccano la facciata neorinascimentale e il campanile orientaleggiante.

Invece della Chiesa della Badia - eretta tra il XVIII e il XIX secolo, rimane solamente la facciata a capanna. È completata da un grande timpano. Ravvivata da un doppio ordine di quattro lesene, è caratterizzata da linee semplici. La navata centrale crollò nel 1984. Negli anni Novanta furono avviati nuovi lavori di ricostruzione.

La passeggiata porta dritti alla visita della Chiesa Madre, dedicata alla patrona. Costruita sui resti della precedente, i lavori avviati nel 1989 si conclusero solamente nel 2005. Della precedente rimangono quattro campate, delle quali tre con nicchie e dei capolavori scultorei conservati presso il “Purgatorio”. Senza avviso alcuno, una scia profumata proviene dalle cucine santaninfesi.

Cosa spinge il turista a lasciarsi ammaliare da cotanta “eccitazione culinaria”? «Si senti lu ciavuru di la sasizza». I prodotti tipici non possono mancare, meglio ancora dopo una leggera fatica. La cittadina, oltre alle colture citate precedentemente, regala sapori da “mille e una notte”.

Tagliata a punta di coltello, condita con sale e pepe e aromatizzata con finocchietto selvatico, lu “caddozzo” (unità di misura della salsiccia) merita il tempo necessario per un assaggino completo. L’ora del pranzo è ancora lontana, giusto concentrarsi sugli altri edifici (palazzi) storici della città. Il Palazzo Di Stefano è caratterizzato da due mascheroni arabeggianti in bassorilievo.

Il Palazzo Piazza è composto da un ampio portale con balcone che dà accesso alla corte di tipo rinascimentale intorno alla quale si svolgevano gli ambienti interni. I passi sono lenti fin quando echeggiano “voci popolari”.

A breve distanza un tizio sussurra qualcosa, sembra un detto: «Santa Ninfa è stata fondata su tre capisaldi: la “Croce”, la “Montagna” e il “Castello”!». La visita prende una nuova direzione, nuovi obiettivi da scoprire. Difatti, su una collinetta dalle dimensioni irrilevanti, è posta una croce. Da lassù il panorama è meritevole di attenzioni.

Si scorge una piccola parte della vallata belicina. Del castello le notizie sono vaghe, quasi nulle. Si presume fosse ubicato nella piazzetta storica e appartenesse al fondatore della comunità. La stessa era collegata - grazie a un sottopassaggio - al territorio di Castelvetrano.

Leggende o verità in via di definizione? La Montagna esiste. È il Castellaccio, argomento approfondito recentemente. Insieme alla Grotta di Santa Ninfa, il Bosco Finestrelle e non lontano, il Bosco di Sinapa (anch’essi già scandagliati), contribuiscono a rendere “green” il territorio. Ognuno di essi è caratterizzato da morfologie e ambienti da vivere liberamente.

Natura e cultura corrono in “senso parallelo” a Santa Ninfa. Il Museo Naturalistico, il Percorso della Memoria e il Museo “Nino Cordio” aprono a scenari impensabili. Il “sapere” compie un lungo giro formativo (compreso il primo tricolore preparato da due nobildonne il 12 maggio del 1860).

Dai dipinti dell’illustre pittore Cordio si passa agli aspetti archeologici e naturalistici di cui il territorio è fiero testimone. Adesso è tempo della “brucculata”. È una pasta di pane ripiena di cavolfiore sminuzzato e condita con cipolla e formaggio. Sono presenti anche i prodotti biologici come le fave a frittedda o fave fresche condite con finocchio selvatico, aglio, cipolla, olio d’oliva abbondante e cotte a tegame. Un altro piatto tipico è l’ammugghianata. Quest’ultima è composta da una grande fetta di carne di vitello farcita e cotta in abbondante sugo di pomodoro.

Dopo un pranzetto con i fiocchi, nonostante la grande abbuffata, tutto prende forma.

È il commiato da questa cittadina e invece, manca ancora un luogo. Senza di esso, il turista “rischia il linciaggio”. Il Castello di Rampinzeri rappresenta il giusto e grande epilogo di una lunga giornata. Composto da due cortili e una chiesetta, modificò l’assetto in castelletto neogotico.

Da qui, la denominazione "castello" impropria. È stato reso celebre da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo. Un altro avvenimento storico di notevole importanza fu l’incontro - il 17 agosto del 1937 - tra il re Vittorio Emanuele e Benito Mussolini.

Adesso è proprio terminata. Il mesto ritorno è un mix tra fattori passati e programmazioni presenti in ottica futura. Santa Ninfa è in continuo fermento, attende una consacrazione definitiva e noi - viaggiatori instancabili - ci permettiamo un pezzettino di Vastedda (formaggio DOP) per non dimenticarla.
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