CURIOSITÀ
Il manuale dell'aggaddo a Palermo: guida al duello alla siciliana, dalla boffa al "5 e 55"
A Palermo la "sciarra" annovera tutta una serie di usi e costumi antichissimi. Ma invece di finire a champagne come in Francia, qui si va a bere una birra
Questo nella Genesi 6,1-4. Ai miei di tempi invece, nelle periferie di Palermo, eravamo tutti un metro e ho tanta voglia di crescere e le femmine non ci vedevano neanche volendo, perché le mamme ci compravano i vestiti sei misure più grandi.
Il più mastodontico era il signor Giordano, il bidello, che dall’alto del suo 1.57 ci guardava come Polifemo guardava la ciurma di Ulisse. Che io ricordi, la parola bullismo cominciavamo a sentirla per le prime volte nei film americani non capendone neanche bene il significato, perché tutt’al più eravamo abituati a dire malacarne o malantrinu.
Meno che mai c’erano gli eroi, a limite ci stava una quotidiana guerra per la sopravvivenza poiché - così funzionava l’algoritmo- se portavi legnate a casa prendevi il resto da papà o da mammà.
Tutta colpa del re Enrico II di Francia, che nel 1547 autorizzò un duello tra gentiluomini nella sua corte e da all’allora partì sta mania del riparare i torti subiti.
Affondo, fendente, guardia, difesa, parata, flèche, rimessa, cavazione, se il mondo del duello aristocratico sviluppa un glossario da salotto, in Sicilia il duello popolare sviluppa in maniera diametralmente opposta un gergo e un galateo tutto pane e cazzilli fritti.
In tal senso, la famosa guantata provocatoria degli aristocratici lascia il posto a frasi d’attraccaggio come “ma sta taliata?” o “avanzi picciuli?”. Il provocato, spesso preso alla sprovvista, se di buon casato tenta di stemperare o quantomeno chiedere spiegazioni rispondendo “Cuomu?”.
In tal caso la contro-risposta del provocante si fa geografica: “vicino Milano!” Se il provocante ha invece una propensione più aritmetica e domanda “Chi ci su problemi?”, lo sfidante come da bon ton dovrebbe rispondere “i problemi su’ a scuola!”.
Conzata la sciarra, dunque, non potendo scegliere tra armi da fuoco o armi da taglio (bottiglia di Forst a parte), uno dei contendenti s’arrogherà il diritto di selezionare lo spiazzo ove il duello avrà luogo, spesso esclamando: “T’aspetto fuora!”.
Il campo di battaglia sarà nel frattempo preso d’assalto dal pubblico, diviso equamente in due tifoserie opposte (comprese di madamigelle), che s’accomoderà in platee improvvisate o in cerchio.
Tolta la giacca e consegnato l’orologio (oggetto che ha la funzione di evidenziare il lignaggio del titolare) ad uno scudiero, un po’ come le sfide tra i poeti nelle corti medievali, i partecipanti inizieranno a contendersi il territorio mettendo in scena un confronto verbale volto ad intimorire l’avversario attraverso componimenti più o meno minacciosi, ma mai esenti di metrica e ricercatezza.
“Ti macino”, “Ti scippo a testa”, “Ti impicu au muru”(ti impicco), “ti inchiummu” (questa va ad interpretazione ma ha a che fare con il piombo), “Ti pistu sutta i pieri” (la pestata sotto i piedi è famosa), “T’ammartuco” (letteralmente ammaccato, pestato, come si usava dire per gli ingredienti nel mortaio).
In alcuni casi i più dotti possono arrivare a far uso di figure allegoriche come: “mi fazzo scrivere ‘nto giornale!”, “ti pigghio a boffe a due due fin’a quannu u n’addiventano dispari”, “ti rugnu na boffa ca pi dariti l’avutra t’ha veniri a circari”.
Quasi mai, tuttavia, manca la figura del coscienzioso che prova in ultimo a riportare una della due parti sulla retta via: “lassalu iri” (lascialo andare) “ca è un cunsumatu ca vuoli cunsumari all’avutri” (che è un consumato che vuole consumare gli atri).
Se il tentativo di pace muore per la via, e lo scontro è inevitabile, comincia “l’aggaddo”, cioè l’aggallo, letteralmente la lotta tra galli.
Anche se a prima vista lo stile può sembrare stradale, le tecniche d’attacco sono variegate e raffinate. Vediamone alcune. Boffa, classico schiaffo a mano aperta che viene dal francese “baffe” mantenendo lo stesso significato. Tumpulata, medesimo colpo ma in direzione del timpano, la cui radice è il verbo greco tiùpto (gr. τύπτω), ovvero battere.
E ancora, masciddata (schiaffo alla mascella), argiata nella mandibola, carcagnata (già qua siamo sulle arti marziali perché trattasi di un calcio all’indietro in cui a colpire è il tallone), ciampata se è felina poiché viene da zampata”, idem ranfata, cozzata se colpisce la nuca a mano raccolta, scocci i cuoddu sempre nella nuca ma data più fugacemente e leggermente di striscio.
Oltre i colpi semplici appena elencati, figurano anche una serie colpi proibiti in stile Divina Scuola di Hokuto, quali: “5 e 55” se si tratta di schiaffi a ripetizione, “Sole Piatti” se dato con tutte e due le mani con tempismo e simmetricità contro entrambe le guance, “pignateddu ca manciaciume”, ovvero pugno speciale che, con nocca del dito medio esposta, va a segno a sfregare contro il “chirchirddo” (cocuzzolo), provocando prurito a scoppo ritardato.
Se ad attaccare è il gruppo contro un singolo si può parlare di capotta o capuliàta, da capuliato, cioè ridurre come il macinato di carne.
In fine, una volta terminato il duello e soddisfatto il torto, la buona morale prevede che i dissapori vengano messi da parte e che una delle due parti intavoli un invito a bere qualcosa assieme “Amunì ca ni viviemu na cuosa”.
D’accordo, magari dalle nostre parti non avremo lo champagne della Vallée de la Marne come i nobili francesi, ma in compenso le sciarre cominciate per male taliate finiscono spesso e volentieri con una birra. Vegezio diceva: “se vis pacem, para bellum” …doveva essere di Palermo, Vegezio.
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