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Ha "segnato" un'intera generazione di palermitani: l'epoca (Grunge) dei Lattarini

Per molti “ex giovani” un punto di riferimento. Una realtà che nel centro storico del capoluogo regionale sta lentamente sparendo per far posto al nuovo che avanza

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 22 maggio 2024

Mio malgrado, debbo ammettere di avere una grave forma di quello che io chiamo "disordine ordinato". Al pari del caos, che in realtà si è scoperto seguire regole matematiche ben precise, anche nella mia mente accade lo stesso.

Ad esempio la mia scrivania, al lavoro, pari ca ci passò u diavolo ra Tasmania, se decido di cucinare metto tutto in mezzo che se passasse Cannavacciolo non si limiterebbe alla pacca sulla spalla ma mi lampiasse i prima.

Nel capanno degli attrezzi, luogo che divido con Marley, il cane di mannara domestico che ne ha fatto il suo dormitorio, pare che ci sia passato un uragano, eppure, io riesco sempre a trovare tutto, perché nella mia testa quel disordine è molto ben organizzato e mi ci so muovere come na trigghia ni scogghi.

Tuttavia arriva il momento, anche per me, in cui il peso ru burdello diviene pesante e comincio a sentirimi pigghiato ri turchi. Rispettoso della mia filosofia "unn’ieccu nieti picchì può sempre sierbiri", sposto gli oggetti "abbandonati" in quel limbo che è il solaio sottotetto, che nel tempo sta cominciando ad assomigliare sempre più alla cantina dello zio Pippo dei fumetti della Disney.
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L’ultima mia incursione in quel mondo fatato e polveroso risale a non pochi giorni fa: mentre cercavo di trovare un luogo consono per depositare uno scatolone pieno di neglie varie, la mia attenzione è stata attirata da una scatola di scarpe Reebok particolarmente consunta, chiaramente adibita a scopo diverso che quello di contenere delle scarpe.

Considerata, per l’appunto l’usura ed il marchio si trattava sicuramente di roba datata, ed infatti una volta aperta, ho trovato al suo interno tutta un serie di vecchie foto, di quando i rullini si sviluppavano e dovevi aspettare na simanata prima di poter vedere quanto ero riuscito a fariti schifiare negli scatti.

Foto dei miei genitori da giovani, di me picciriddu, di mio nonno e mia nonna a braccetto sul molo di Genova, un giovane me che minchioneggiava, ed altre, ma tra tutta una è riuscita ad attirare particolarmente la mi attenzione. Su uno sfondo ingiallito del Massimo, mi ritraeva con i capelli lunghi, vestito come una scappato i casa, Rayban tarocchi da rockettaro, comodamente seduto sul mio vespino bianco montato ottantino.

No, non sto piangendo, è solo allergia dovuta alla polvere. In quella foto indossavo ancora il mitologico Eskimo militare, vivida testimonianza di un epoca, ma soprattutto luogo, che fu, alla stregua di Miele, testimone di periodi indimenticabili. In un’epoca in cui i centri commerciali erano solo immagini fuggenti nei film americani, il mio e nostro centro commerciale, o almeno di chi seguiva la mia stessa linea di pensiero, era tutto il complesso di via e piazze che creavano il quartiere di Lattarini.

Giusto per dare una parvenza culturale a questo sproloquio nostalgico, Lattarini era, tanto tempo fa, il mercato arabo delle spezie, denominato “Suk-el-attarin”, stesso luogo ove successivamente si cominciarono a fare attività di compravendita e dove, nell’immediato dopoguerra, era facile trovare jeans ed oggetti di provenienza americana, soprattutto in ambito militare.

Lì infatti aveva luogo la "piccola borsa", in cui vi erano scambi commerciali più o meno leciti, da cui poi derivò il nome di piazza Borsa. Ma Lattarini fu anche teatro di un tragico evento, ove persero la vita 75 persone.

Il 19 dicembre 1907, nel pieno del mercato di Natale che prima si svolgeva in quella zona, esplose la Santa barbara di una nota armeria dell’epoca, nota più che altro perché aveva tracchigi strani per formire armi a chi non doveva possederne e preparare e vendere ordigni esplosivi per la pesca di frodo.

L’evento ebbe una grossa rilevanza e fu riportato da tutte le maggiori testate nazionali, per poi cadere nel dimenticatoio senza che si appurasse davvero la dinamica dell incidente.

Ma tornado all’argomento principe, Lattarini è stato per molti “ex giovani” un vero e proprio punto di riferimento. Da picciuttieddu andai lì a comprare il necessario per la divisa da boy-scout ed ho ancora vivo il ricordo dell’insegna del negozio Scano su cui erano appiccicati gli adesivi delle due maggiori società scoutistiche.

Successivamente arrivò anche il momento dei primi turbamenti adolescenziali e fu allora che Lattarini non fu più il luogo ove trovare abbigliamento per divisa ma altro, o meglio, alla fine erano sempre "pezzi" di divisa ma indossati con uno spirito totalmente diverso, con cui poter esprimere al meglio la mia, ai tempi, irriverente personalità da alternativo.

Il primo approccio fu verso i sedici anni quando, con i soldi messi faticosamente da parte, andai lì, da solo per la prima volta, a comprare il famigerato Eskimo color kaki con la bandierina tedesca appuntata sul braccio destro, che mi accompagnò fedelmente quasi fino al termine della vita universitaria.

Probabilmente l’Eskimo, anche se ad un costo nettamente superiore, lo vendevano anche in negozi "normali", ma andare ai Lattarini non era solo una questione di possibilità economiche, ma una ideologia dell’ambiente che ero solito frequentare, secondo cui indossare quel particolare tipo di giacca, acquistato in quel particolare contesto, assumeva le sembianze di un metodo "ideologico" per combattere il capitalismo delle grandi marche, anche se poi, noi tutti, ci contraddicevamo da soli quando i jeans, strappati successivamente l’acquisto con la pietra pomice con conseguente mutriamento dei genitori, dovevano essere rigorosamente Americanino o Levi’s, mal che andasse Carrera.

Una volta entrato nel mood di quel mondo scafazzato , al di fuori degli schemi, non ne uscivi più, per cui fu sempre lì che acquistai la mia giacca "primaverile", ovvero una cammisazza di cotone ruvido come la carta vetrata a grana grossa, sempre kaki e sempre con la bandierina tedesca, di due misure più grande, che assieme agli anfibi, alternati alle "scaippe i tennis", completavano il mio look da sfasciallitto.

Con il tempo, quando prendevi confidenza, il negoziante, nel mio caso il signor Giovanni detto "amabilmente" da noi "occhi i puppu" a causa, mischino, di una problematica di origine tiroidea, ti avvisava quando erano disponibili i "cosi i rumpere", così, nel retrobottega potevi trovare le primissime maghiettine con il viso del Chè stilizzato o di marche famose rigorosamente contraffatte o di illecita provenienza.

Proprio da lui comprai una camicia di flanella a scacchettoni marca El Charro, (mai capito se tarocca o agghiacciata), che mi accompagnò per tutto il mio periodo Grunge, quando nel walkman girava sempre la cassetta, comprata dai carrettini in mezzo la strada, dei Nirvana. Ancora oggi, debbo dirlo, non disdegno di indossare, in determinati contesti, un genere molto simile di camicia, con manifesto disappunto della mia dolce metà.

Lattarini fu anche complice, e non solo per me, della prima seria zitatina. La conobbi in negozio, mentre cercava di provarsi una minigonna di jeans nel retrobottega, ed il signor Giovanni mi ci fece andare per provare dei pantaloni con tasconi laterali, dimenticandosi del tutto che già il "camerino" era occupato.

Io subito, anche se mi atteggiavo da masculo alfa, diventai tutto rosso e cominciai a balbettare come un pinnalocca, mentre lei molto semplicemente mi disse che avia a niscere i subito prima che mi tirava na seggia! Capimmo subito che eravamo fatti l’uno per l’altra, e ci reincotrammo la sera stessa sempre a Lattarini.

L’incredibile e solida storia d’amore durò esattamente mesi tre. La sera la zona dei Lattarini si trasformava. Si abbassavano le saracinesche dei negozi di abbigliamento e si alzavano quelle anonime dei "pub" rii sgarrubbo, dove con picca piccioli potevi comprare la Forst grande, sederti sul marcipiede e tampasiare fino a notte fonda, magari sfumacchiando una sigaretta con pochissimo tabacco.

In determinate occasioni era anche luogo per famiglie assistemate, quelle che nel periodo invernale magari organizzavano la scampagnaata a Piano Battaglia per passare una giornata sulla neve.

Qualche giorno prima, la famigliola, picciriddi compresi, andava ai Lattarini per acquistare il necessaire per l’impresa. La tuta da neve era solitamente composta da una sorta di salopette a cui si andava ad aggiungere una giacca, entrambi fatti con una sorta di tessuto plastico per il quale il pericolo di autocombustione era altissimo, dai colori altamente improbabili come fucsia scarlattina o verde scoria nucleare.

La tuta si provava sempre nel solito "camerino", il retrobottega, e già lì si potevano apprezzare le sue qualità termiche, capaci di creare un microclima interno di tipo subtropicale.

Ho ancora il ricordo vivido di me che, nonostante il freddo e le innumerevoli scivolate con il sacco nero usato come slittino, riuscivo a sudare copiosamente.

A completare il tutto c’erano gli stivaletti doposci la cui suola era talmente liscia da poter pattinare su una trazzera alla stessa velocità di una palla da boowling lanciata a tutta velocità sulla pista. Ma Lattarini fu presente anche quando la Patria mi convocò per fare il mio dovere sotto le armi.

Avendo perso, durante la licenza, il cappello della divisa, riuscii a trovarlo d’occasione da Lattarini con già le losanghe cucite sopra, evitandomi così la conseguente punizione, e fu sempre lì che comprai la mia primissima scrub ospedaliera.

Un luogo che ha segnato, nel bene e nel male, crescita ed esperienze di un’intera generazione di palermitani e che come molte altre cose sta lentamente sparendo per far posto al nuovo che avanza.

Forse le giovanili idee "anticapitalistiche" che ci spingevano a compiere acquisti lì non erano del tutto errate, nonostante fossimo giovani, ma soprattutto parecchio ingenui e fissa.
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