MISTERI E LEGGENDE
Furti e intrighi nella Palermo dell'Ottocento: c'è anche un lato oscuro nella famiglia Florio
Prima del boom economico grazie al quale i Florio riuscirono a portare Palermo nel mondo, pare che la storica famiglia non disdegnò alcuni legami "tenebrosi"
Ignazio Florio Junior (foto Facebook Casa Florio)
Da quando arrivarono a Palermo ed aprirono il primo negozietto in Piazza Garraffello alla Vucciria, cioè vicino al mare la loro fonte di ispirazione e di reddito, fu un crescendo di successi che permisero ai Florio di arricchirsi e che, ovviamente, in questo articolo non approfondisco poiché già a conoscenza dei lettori.
Il contesto in cui si svolge la trama oscura del presente articolo è quella della Palermo contrastante di fine Ottocento, quindi di una città in pieno sviluppo post unitario, ma in piena crisi nobiliare e, di fatto, istituzionale e che soprattutto deve affrontare un riordinamento strutturale derivate da uno Stato nato da poco più di un ventennio.
In questo ambito cittadino discrepante in cui si intravede il lusso sfrenato, la presenza delle colonie Inglesi, del benessere di poche egemoniche famiglie si cela invece una città sotterranea povera ed è qui che si svolge la trama della presente storia.
Nel 1898 il Questore Ermanno Sangiorgi, come scrive il Prof. Lupo nel suo saggio “il tenebroso sodalizio”, arrivò a Palermo e durante un indagine sulle cosche della Conca D’Oro di Palermo si ritrovò ad affrontare una storia particolare, quella di Vincenzo Lo Presti e Giuseppe Caruso cocchieri di professione ma affiliati al Gruppo Olivuzza e che descrive in un rapporto inviato al Procuratore del Re il 6 novembre 1898.
Si è parlato della presenza delle famiglie Inglesi a Palermo ed è da una “lettera di scrocco” che il gruppo mandò alla famiglia Whitaker che iniziò il dramma, poiché dalla divisione di tale affare i due cocchieri non furono per niente soddisfatti.
La risposta non si fece attendere ed i due baldi giovani, per provocare i Capi del gruppo, decisero di rubare opere d’arte di valore a casa del Comm. Ignazio Florio Junior che, indignato, chiamò a rapporto proprio chiedendo spiegazioni ai Capi del gruppo che, guarda caso, erano suoi stipendiati ed accudivano la Villa dell’Olivuzza come guarda porta e giardiniere.
I Capi chiamarono i due cocchieri per riappacificarsi dopo la lite Whitaker e per far ritornare gli oggetti rubati, assicurando loro l’anonimato e un adeguato compenso. Trovato l’accordo i beni di proprietà della famiglia Florio, dopo qualche tempo, ritornarono “misteriosamente” a loro posto.
Ma il Caruso, sospettoso, non era molto convinto di questo riavvicinamento con i Capi dell’Olivuzza e ne ebbe anche delle avvisaglie precise, sta di fatto però che i due cocchieri ebbero un incontro nella Taverna di Piazza Olivuzza con il gruppo e,
dopo vari discorsi e con la proposta di organizzare un affare, si decisero di seguire gli stessi dandosi la condanna a morte.
In un rapporto del 21 novembre del 1898 il Sangiorgi comunicò al Procuratore del Re che la moglie del Cocchiere Lo Porto avvicinò Donna Giovanna D’Ondes, madre del Comm. Ignazio Florio, mentre andava all’Istituto delle Suore di San Vincenzo de Paoli, chiedendo di ricordarsi anche di Lei e dei suoi figli che avevano perso il Padre. Per tutta risposta Donna Giovanna disse "di non seccarla e che il marito era un ladro e che ha rubato a casa Florio", successivamente si accostò anche la moglie del Caruso spiegando i fatti e confidando un segreto dei mariti defunti: il Gruppo Olivuzza stava probabilmente organizzando il sequestro del fratello del Comm. Ignazio, cioè di Vincenzo, a cui gli stessi congiunti non vollero partecipare
per non fare torto grave alla Famiglia Florio.
Alla fine del rapporto il Questore Sangiorgi precisa che Donna Giovanna D’Ondes Florio non si presenterà all’invito a deporre su quanto già raccontato dalle vedove Lo Presti e Caruso, chissà perché...
Ecco i segreti più nascosti di una dinastia imponente che portò Palermo nel mondo, ma che non disdegnò alcuni legami durante il proprio regno in una fase in cui di lì a poco si aprirà il prorompente dibattito politico, culturale e sociale sul primo omicidio eccellente, quello del Marchese Emanuele Notarbartolo di San Giovanni.
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