ARTE E ARCHITETTURA
Esiste un'altra "Pietà", quella di Gagini: il miracolo del marmo riaffiorato dal mare di Messina
È una delle opere più belle mai concepite dallo scultore palermitano ed è conservata in una chiesa del sud Italia. In pochi la conoscono e l'hanno mai vista. Magari questa è la volta buona per farlo
La Pietà di Soverato di Antonello Gaggini
In fondo mi piace pensare che i viaggi, la conoscenza e le idee non nascono per coincidenze più o meno programmate ma dalla necessità del rinnovamento personale poiché, sembrerà strano, durante questa mia recente visita ho avuto come una illuminazione, infatti ricordai che Antonello fece un viaggio simile, però a Roma nel 1505, osservando le opere di Michelangelo Buonarroti.
Antonello aveva già una sua formazione proveniente dal padre Domenico, che era originario di Bissone (Canton Ticino) e che, come scrive il Vasari, fu in gioventù collaboratore del Brunelleschi e successivamente di Francesco Laurana.
Il Convento di Petrizzi è fondamentale per la nostra storia poiché il fondatore fu nel 1510 il Beato Francesco da Zumpano dell’ordine degli Agostiniani Riformati, che sfruttò una precedente struttura del 1454; ma sembra che dietro la realizzazione dell’opere di Antonello ci sia anche una storia misteriosa tramandata nell’opera “Della Calabria Illustrata” di Padre Giovanni Fiore da Cropani (1622-1683), come descrive il gruppo archeologico “Paolo Orsi di Soverato” e che ha come protagonista lo stesso beato Zumpano: «….Volendo poi collocarvi un'immagine a rilevo di Maria con Figlio morto nelle braccia, e non avendo potuto trovare pietra a proposito di incavarla, passò in Messina, ove intendeva che da vascello, quale aveva corso fortuna, n’era stata buttata a mare una tale, molto acconcia al suo disegno.
La richiede dal padrone, il quale non fu ritroso a concederla, supponendo l’impossibilità del frate per trarla dal fondo, ma appena egli, prostrato, ne supplicò il Cielo, che ad occhi veggenti da tutti fu veduta la pietra nuotar a gala, e porsi nel lido».
Una di quelle storie popolari tramandate nel tempo, certo, anche se mi affascina il ricordo di Antonello che tra il 1498 e fino al 1507 aveva proprio a Messina una attività di commercio di marmo con la Toscana. Ma torniamo alla commissione dell’opera: Giovanni Martino d’Aquino (discendente addirittura del celebre San Tommaso), ed il Beato Francesco da Zumpano sottoscrivono l’atto per la realizzazione dell’opera specificando, nella realizzazione della stessa, che siano ben evidenziati dei concetti teologici e filosofici da sigillare nel complesso statuario; oltretutto, come ho precisato precedentemente nell’articolo, Antonello contestualmente importa delle novità artistiche acquisite osservando le opere del Buonarroti, del Laurana e del Sansovino.
Il complesso scultoreo viene terminato nell’agosto del 1521 ed il costo, compreso il marmo utilizzato proveniente da Carrara, è stato di 36 once. Alla base porta la firma dell’artista: “hoc opus Antoni Gagini panormitae MCCCCCXXI”.
Oltre la bellezza della pietà, nelle sue forme che ricordano, per impostazione scenica, la pietà di Michelangelo, c’è un particolare su cui soffermarsi nello studio del gruppo statuario, un aspetto davvero particolare ed interessante, come specifica il Gruppo Archeologico Paolo Orsi e che riporto: “Sul basamento risiede a sinistra Giovanni Battista, a destra l’Arcangelo Michele, mentre la figura di San Tommaso occupa la centralità del bassorilievo, scolpito nell’atto di tenere una lezione ex cathedra sull’avverroismo e di schiacciare metaforicamente il filosofo islamico e con esso il suo pensiero”.
Il che evidenzia lo scontro tra le due filosofie, chissà cosa ne avrebbe pensato San Tommaso? È ovvio, comunque, che nella realizzazione dell’opera ci sia una interpolazione esecutiva tra la Pietà del Buonarroti e quella del Gagini poiché quest’ultimo, pur prendendo l’impostazione del maestro, riesce a dare un proprio innegabile stile che si riflette tutto sul viso di Maria Addolorata.
Infatti, Maria, nel suo immenso dolore risulta soave, delicata, estremamente dolce nello sguardo pieno di pathos mentre con un braccio sorregge, per l’ultima volta, il proprio figlio e con l’altro braccio sollevato conduce l’occhio dell’osservatore alla mano appoggiata delicatamente al cuore (la spada che la trafigge).
Ed è con questa massima composta e sofferente potenza espressiva che chiudo l’articolo su un grande artista Palermitano che seppe dare lustro alla nostra Città e, magari, sollecitando la curiosità di molti nel voler vedere questa opera di presenza.
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