POLITICA
Emanuele Macaluso: in ricordo di un Grande Vecchio che rifiutava "forza e intrallazzo"
Da siciliano che voleva arrivare, capì che solo lo studio e la vera preparazione erano fendenti che potevano lasciare tramortito il nemico o l'avversario
Emanuele Macaluso
A quanto è accaduto in questi giorni, ponendosi mille interrogativi e dubbi su cosa stesse accadendo. E così mi sembrato naturale ripensare alla morte di questo "Grande Vecchio". "Emma" (Emanuele Macaluso, ndr) se n’è andato, e a prescindere da posizioni e ideologie (termini vetusti e desueti) il suo impegno ha rappresentato quella politica fatta di passione e preparazione.
Conosciuto dai racconti dei nipoti da ragazzina, con cui condividevo le vacanze, l’ho rincontrato durante gli stage e collaborazioni all’ufficio stampa durante varie elezioni politiche. Non ho mai avuto il coraggio di parlargli, avrei potuto, ma il timore dovuto alla mia giovane età e inadeguatezza me lo impedì.
Partito dall’esperienza sindacale, durissima, in una terra dove il malaffare aveva soppiantato il dominio della nobiltà feudale, appropriandosi di beni e privilegi. Pubblicò il suo primo articolo a 18 anni contro lo sfruttamento dei giovani e giovanissimi nelle miniere di zolfo, realtà del suo territorio.
Da lì le lotte contadine, le manifestazioni, l’ascesa nel sindacato che lo portò a essere segretario regionale della Cgil a 23 anni, le critiche e gli allori, l’arrivo e l’ingresso nella dirigenza a Roma.
Consapevole di non avere le conoscenze e la preparazione dei grandi protagonisti della scena politica italiana, da siciliano che vuole arrivare, capì che forza e intrallazzo erano armi povere, studio e preparazione erano invece fendenti che potevano lasciare tramortito il nemico o l’avversario.
Così studiando e leggendo, completò quel bagaglio di cultura e competenze. Strumenti necessari per dialogare con una politica fatta di grandi personaggi, che avevano fatto la storia del nostro paese.
Fine osservatore, fu una spina nel fianco nel suo stesso partito, la preparazione conquistata, infatti, non gli aveva fatto abbandonare quel pragmatismo necessario ad interpretare l’evoluzione del pensiero politico.
Sostenitore del Migliorismo, ragionamento acuto e scomodo che rivedeva alcune posizioni, ipotizzando un cambiamento dall’interno del sistema capitalistico, praticato attraverso riforme, senza opposizioni violente o conflittuali, non piacque a tanti "compagni", non perché non fosse corretto, ma perché ideologicamente sbagliato e fuorviante.
Ma a lui il coraggio di parlare non mancò mai, ricordo che poteva bastava una frase, sintesi d’interi e inutili discorsi per zittire un’intera platea. Un esempio il titolo de L'Unità" per i funerali di Berlinguer, riassunto di una giornata in una sola parola, che ha fatto la storia del giornalismo: "Tutti".
Lasciata la politica, dalla sua casa a Testaccio, ha continuato a scrivere ad analizzare le vicende della nostra storia, la lettura, la mattina, di tutti i quotidiani non era un rito ma un impegno cui non si è mai sottratto fino al ricovero in ospedale.
Un uomo così non poteva che andarsene la sera prima di quello che è stato uno dei più incomprensibili ed imbarazzanti spettacoli circensi cui abbiamo assistito, così privo di logica e stile: piroettanti rappresentanti del popolo incapaci di coglierne le istanze e di rappresentarle.
Il "grande vecchio" era ormai inadeguato, anacronistico, imbarazzante, con il suo pensiero fatto di storia, coerenza e passione. L’applauso al Senato non è stato un atto dovuto, ma la testimonianza di una vergogna consumata tra i banchi di chi gli era avversario e di chi avrebbe dovuto essere dalla sua parte.
E se qualcuno volesse chiamarlo con sfregio, "comunista" posso affermare che gli avrete reso omaggio, l’unico che avrebbe mai voluto avere dopo la sua morte.
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