STORIA E TRADIZIONI
Da lì si accede al colorato mercato di Ballarò: a Palermo un palazzo fa la storia della città
Per costruirlo ci vollero anni e anni ma la sua bellezza è ineguagliabile e la sua storia si lega a quella dell'autore de "Il Gattopardo" Tomasi di Lampedusa
L'atrio di palazzo Cutò a Palermo
Fu voluto, nella seconda metà del Settecento, da Alessandro II Filangeri e Gravina principe di Cutò appartenente ad una nobile famiglia di origini normanne: i Filangeri (o Filingieri o Filangieri). Il ramo del principi di Cutò venne originato nel 1662, dalle nozze di Alessandro I Filangeri con Giulia Platamone e Sisini, figlia del primo principe di Cutò Francesco Platamone.
Cutò è il nome di un torrente che alimenta il fiume Simeto nella Sicilia orientale, in cui probabilmente la famiglia Platamone possedeva dei feudi, originariamente in qualità di baroni di Cutò.
A prima vista, dalla sua grandiosità, si comprende subito che i lavori edilizi perdurarono per moltissimo tempo. Addirittura pare che, per il suo compimento definitivo, comprensivo delle decorazioni, occorsero quasi cento anni. Il palazzo fu poi acquistato dai baroni Cirino ed attualmente è suddiviso in abitazioni private. Fino a qualche tempo fa ospitava un hotel ed in passato fu anche sede di una scuola.
Il palazzo si eleva su due piani, oltre al piano terreno, con tre portali il cui centrale è l'arco di Cutò. Il plesso abitato è quello alla sua sinistra. Qualche anno fa ho avuto la possibilità di visitarlo internamente, nelle sue parti condominiali, grazie alla gentile disponibilità di un mio carissimo amico. Sin dall'ingresso nella parte abitata - il cui portone ligneo fu realizzato con il castagno dei Nebrodi - sembra di entrare nella dimensione di un tempo che fu.
Nel vasto atrio, in cui campeggia centralmente un'altissima palma, si può notare quanto il basolato in pietra calcarea di Billiemi - successivo all'originario ciottolato - risulti infossato in alcuni punti, a causa del passaggio delle antiche carrozze. Mi ha stupito l'indicazione di alcuni numeri civici adiacente a qualche ingresso dei locali a piano terra, come se si trattasse di una zona a sé stante.
Un lungo corridoio conduce a quelle che una volta erano le scuderie e le rimesse. Ed i balconi che si affacciano sull'atrio riportano delle decorazioni in stile rococò, sia sulla parte superiore che sotto il piano di calpestio. Delle grandi arcate circondano tutta l'area, ma è in quella frontalmente centrale che inizia il maestoso scalone monumentale in marmo rosso proveniente dalla cava ormai esaurita di Monte Cofano (TP).
In alcune parti si nota l'ammonite, fossile che richiama le origini di ambiente marino di questi marmi. Su un angolo delle scale si trova un elemento ad uso spegnimento torce e proseguendo si raggiunge il piano nobile, che si estende per circa 3.000 mq e poi suddiviso in quattro parti, in cui è presente il mezzobusto del barone Cirino, che andò a sostituire quello trafugato di Alessandro Filangeri, del quale comunque rimane l'iscrizione del nome.
L'impronta del barone Giovanni Cirino si può pure rilevare anche nelle sue iniziali del sovraporta. È in questa parte del palazzo che si possono ammirare sia il grande decoro dell'aquila bicipite sovrastante, simbolo dei vicerè di Sicilia, e sia i massicci elementi decorativi sulla scalinata che porta al secondo piano, opera dell'architetto Giovanni del Frago. Una maestosità esplosiva, che lascia senza parole.
Magari qualcuno si chiederà il motivo per il quale questo palazzo, con una storia così antica e con un fascino assolutamente indiscusso, non venga ristrutturato nelle sue parti comuni esterne ed interne, cariche di secoli e di smog. E qui bisogna considerare l'immensa vastità dell'edificio che è direttamente corrispondente agli elevatissimi costi, a molti zeri, dei lavori.
Ci auguriamo che prossimamente un accessibile preventivo, nonché altamente professionale, possa consentire ai proprietari di iniziare un intervento di ripristino che regalerebbe di nuovo al palazzo la sua antica eleganza e regalità
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