CULTURA
Cose che di certo non sai sul palazzo del "Gattopardo": intrighi, curiosità e segreti
Tra interventi di Ernesto Basile, lo scalone a doppia rampa, la "sala dei suicidi", saloni di rara bellezza e intrighi familiari: la storia di palazzo Valguarnera Gangi a Palermo
Il salone di palazzo Valguarnera Gangi a Palermo
Da questo momento in poi la corona spagnola farà di tutto per rinsaldare i legami con la classe feudataria locale, sviluppando e favorendo nuove relazioni con la nobiltà siciliana, che ha dal suo canto l'esigenza di avere “degna” dimora in città per meglio esercitare il proprio potere. Palermo diventa un cantiere, e tra gli aristocratici locali inizia una vera e propria competizione nel costruire sontuose dimore o ristrutturare quelle già esistenti, rendendole simbolo del loro prestigio e del loro rango, così come delle loro immense ricchezze.
Molti di quei palazzi scampati all'incuria ed alle bombe del 1943 sono ancora lì a fare bella mostra di sé, ma uno in particolare, sito nel cuore del centro storico palermitano, ha avuto il privilegio di attraversare i secoli indenne da guerre od altro, preservandosi sia nella struttura architettonica sia negli interni, arredi compresi, si tratta di palazzo Valguarnera Gangi.
Ottenuta nel Trecento da re Martino la baronia divenuta in seguito contea d'Assoro grazie a mirate politiche matrimoniali, i Valguarnera si arricchiranno nel tempo di proprietà e altri titoli nobiliari. Le unioni più importanti saranno quelle che porteranno alcuni esponenti del casato a imparentarsi con i Carretto conti di Racalmuto e con i Lanza principi di Trabia, questi ultimi ritenuti (probabilmente) il casato più potente dell'isola.
Tra il 1652 ed il 1685, sempre attraverso matrimoni opportunamente combinati, i Valguarnera acquisirono prima il principato di Gangi e successivamente quello di Gravina, così da ottenere oltre che ulteriore prestigio sociale voti preziosi in parlamento, considerato che in quel momento potevano vantarne già ben quattro. Nei primi del Settecento Francesco Saverio Valguarnera Gravina ricoprì il prestigioso ruolo di Capitano di Giustizia di Palermo intrattenendo buoni legami oltre che con la corte sabauda, grazie al titolo di gentiluomo di Camera di Carlo III, anche con quella napoletana.
Per dare un'idea della ricchezza della famiglia si pensi che la proprietà terriera del principe di Valguarnera, Gangi e Gravina e conte d'Assoro si estendeva su una superficie di gran lunga superiore si 32mila ettari, i vassalli che la occupavano erano pìù di diecimila.
Erano ben diciotto le persone alle dipendenze del principe Francesco Saverio, impiegate come servitù a palazzo Gangi ricoprivano vari ruoli: cocchieri, staffieri, un cavalcante e poi addetti alla lavanderia ed alle cucine, ed ancora i camerieri privati del principe e della consorte e il “credenziero” che custodiva argenteria e vasellame di pregio. Su tutti spiccava la figura del mastro di casa posto in cima a questa gerarchia a cui spettava il compito di coordinare in maniera impeccabile il lavoro di tutti.
Questa, in sintesi, parte della storia dell'ascesa del casato che vede proprio Francesco Saverio morto nel 1739, a soli cinquant'anni, disporre per testamento che in assenza di eredi maschi la primogenita Marianna dovesse sposare un membro della famiglia al fine di non disperdere il patrimonio e di conseguenza conservare titoli e cognome.
Di fatto Marianna, che era sordomuta, andò in sposa appena diciottenne a Pietro Valguarnera, fratello minore del padre, mentre la sorella Stefania andò in sposa a Giuseppe Branciforte principe di Leonfonte.
Il rapporto tra le sorelle dopo la morte del padre non fu affato pacifico e per lungo tempo Stefania tentò in tutti i modi di accaparrarsi i beni destinati a Marianna, cercando addirittura di farla dichiarare incapace d'intendere e volere, ma non ci riuscì e dovette infine rassegnarsi, suo malgrado, ad accettare le disposizioni testamentarie del padre.
Pietro Valguarnera, acquisiti titoli e proprietà che prima erano del fratello, si darà da fare per completare la villa di Bagheria e comincerà a dare nuovo assetto al palazzo di città. Nel XIX sec la situazione finanziaria della famiglia comincia tuttavia a vacillare, la nuova era vede ridimensionati notevolmente i privilegi aristocratici con la conseguenza che le proprietà terriere della famiglia verranno gradualmente vendute per fare fronte ai debiti.
In seguito al terremoto del 1823 il palazzo viene abbandonato poiché i Valguarnera non hanno le disponibilità economiche per rimediare ai danni, e successivamente sempre a causa dei debiti contratti dalla famiglia il palazzo verrà addirittura confiscato.
La sorte dei Valguarnera sarà quella di tante altre famiglie aristocratiche del XIX sec, quando vige un nuovo assetto politico e sociale e soprattutto una nuove classe che pretende a gran voce la scena, ovvero la borghesia.
Ed è proprio grazie ad un suo facoltoso esponente privo di titoli nobiliari ma con grandi disponibilità economiche che il palazzo si salverà: il suo nome è Giuseppe Mantegna che sposa una discendente del casato, cioè Giovanna Alliata Moncada e Valguarnera principessa di Gangi, vedova dello zio Girolamo Valguarnera.
Oltre a ripagare tutti i debiti, Mantegna riacquista la proprietà del palazzo sborsando ben 4mila ducati e impiega altre ingenti somme per la definitiva ristrutturazione, da quel momento il palazzo si conserverà pressochè immutato fino ai nostri giorni.
I loro discendenti nonché attuali proprietari del palazzo, Giuseppe e Carine Vanni Calvello di San Vincenzo, da ormai più di vent'anni non lesinano risorse ed energie affinchè il palazzo mantenga inalterata la sua bellezza attraverso mirate campagne di restauro.
Tali premesse sulla famiglia ci aiutano a comprendere l'importanza di palazzo Valguarnera Gangi e il motivo per cui rappresenta una testimonianza più unica che rara della Palermo del XVIII sec.
È opportuno inoltre ricordare che i capitali impiegati per la realizzazione e per il mantenimento di tali meraviglie architettoniche creavano e sostenevano una fiorente economia locale di cui beneficiavano artigiani e le numerose maestranze, locali e non (stuccatori, maestri di pietra, ebanisti, pittori, tappezzieri, argentieri e così via) che riunite in vere e proprie corporazioni contribuirono con la loro opera a rendere possibile ed unica la fusione tra architettura ed apparato decorativo nonché la sua perfetta visione d'insieme.
Le meraviglie custodite nei ben 8mila metri quadri del palazzo sono veramente impressionanti e ciò che colpisce è il gusto e la raffinatezza dei committenti.
L'origine del palazzo si fa risalire al Quattrocento e la proprietà era dei Riggio, una delle famiglie più importanti della città, successivamente attraverso una serie di matrimoni dai Lanza di Trabia prima ai Gravina dopo arriverà in dote ai Valguarnera.
L'aspetto attuale del palazzo è quello settecentesco ottenuto grazie ai lavori finanziati da Pietro Valguarnera che ne cambieranno l'aspetto precedente seguendo gusti e mode dell'epoca; tre furono gli architetti importanti che dirigeranno i lavori: Andrea Gigante, Mariano Sucameli e Giovanni Vaccarini.
Ed è proprio grazie al genio del giovane architetto Andrea Gigante che si deve il magnifico scalone a doppia rampa che si trova nella corte. Lo scalone è fiancheggiato da pilastri in marmo rosso con statue del Marabitti e grandi cuspidi, e conduce su fino al ballatoio che fa da vestibolo dove si ammira una loggia a serliana chiusa da una grande vetrata aggiunta nei primi del XX sec. dall' architetto Ernesto Basile.
Quindi si varca la soglia e da qui in poi si ha la sensazione che in questo luogo il tempo si sia fermato.
Attraversando un paio di ambienti, tra cui la Sala degli arazzi, si arriva al Salone ovale ovvero la Stanza a mangè (Sala da pranzo) in stile neoclassico: le pitture sono di Giuseppe Velasco mentre alloggiate in due nicchie troviamo le statue di Venere ed Apollo attribuite al Marabitti. Delle lesene a forma di colonna con intarsi in foglia d'oro scandiscono gli spazi delle pareti, al centro del pavimento lo stemma in maiolica dei Valguarnera.
Dopo di che ha inizio una enfilade di saloni che prendono il nome dal colore delle tappezzerie che ricoprono le pareti. Si inizia con il Salone verde chiamato anche Sala dei suicidi poiché una serie di tele raffigurano i più famosi suicidi della storia e poi il Salone rosso ed il Salone azzurro.
Ogn'uno di questi ambienti è uno scrigno di preziosi arredi, pezzi unici ed opere d'arte: porcellane giapponesi ed altre provenienti da Vienna, Capodimonte, Meissen, Sèvres, lacche cinesi, cristallerie di Murano, preziosi monetari in ebano ed avorio doni dell'Imperatore Nicola di Russia agli antenati.
Tra i dipinti spiccano quadri come un'autoritratto di Pietro Novelli, un de Ribera oltre ad un bellissimo ritratto della principessa Giulia di Gangi Alliata opera del pittore belga Van Biesbrocck realizzato in loco durante un periodo di permanenza del pittore come ospite a palazzo, ed ancora dipinti della scuola di Raffaello, del Tiepolo e trittici fiamminghi, solo per dare un'idea.
La serie di saloni, in un crescendo di bellezza, ci permette di arrivare fino ad uno degli ambienti più sfarzosi del palazzo: il Salone giallo o meglio la grande Sala da Ballo, e qui si capisce perchè palazzo Gangi spesso è accostato a quello di Versailles, non per proporzioni s'intende, ma per la sua capacità di stupire.
Si apre ai nostri occhi un'immensa sala un tempo destinata ad accogliere il gotha dell'aristocrazia locale per le feste a palazzo, un tripudio di consolles, divani d'epoca, grandi specchiere, boiseries, il tutto decorato con foglia d'oro.
L'affresco della volta è di Gaspare Serenario, e raffigura il Trionfo della Fede a contorno figure di angeli in stucco di scuola serpottesca, il pavimento in maiolica di Vietri raffigura Scene di battaglia. Dal salone si accede alla terrazza, che si affaccia su piazza Sant'Anna, dove al centro si ammira una piccola fontana opera del Marabitti.
Varcando una delle due porte che dal Salone da ballo ci immettono nello straordinario Salone degli Specchi capiamo di trovarci in un posto unico al mondo. L'ambiente è conosciuto anche col nome di Galleria degli Specchi proprio perchè essi la rivestono nella sua intera lunghezza e si inseriscono tra le boiseries in oro e decori a fiori di vario genere.
Su delle mensole disposte lungo le pareti sono esposte porcellane giapponesi e cinesi, secondo la moda dell'epoca, ed in fondo due piccoli salotti detti les poudreuses, che avevano la funzione di permettere alle dame, durante i balli, di incipriarsi e mettersi in ordine lontano da sguardi indiscreti o magari appartarsi per qualche fugace incontro clandestino.
Le maioliche di Vietri del pavimento raffigurano le Fatiche di Ercole, restaurato diversi anni fa, è in ottimo stato di conservazione, come tutti gli ambienti d'altronde.
Ma è alzando lo sguardo al soffito che si rimane senza fiato, si tratta di un'opera ormai unica nel suo genere: una doppia volta, ovvero un soffitto a doppio fondo, progettato verosimilmente da Andrea Gigante e dipinto dal pittore Gaspare Fumagalli. È questa un'incredibile e geniale opera architettonica costituita da una volta a padiglione traforata su cui sono state realizzate ben 15 calotte simili a cupole, l'impatto visivo da letteralmente le vertigini.
Tre grandi lampadari in vetro di Murano a candele danno luce al salone, si pensi che quello centrale ha ben 102 bracci e per grandezza nel mondo è superato solo da altri due: il primo si trova a palazzo Alliata di Pietratagliata a Palermo, l'altro è custodito all'Hermitage di San Pietroburgo.
Escludendo gli appartamenti privati, è questo l'ultimo ambiente del palazzo, che in un crescendo ben studiato ci permette di avere più che un'idea dello sfarzo nella Palermo durante i Vicerè. Palazzo Gangi negli anni ha visto soggiornare o semplicemente accogliere in visita ospiti di riguardo come: re Giorgio V e consorte, Edoardo VII, Gioacchino Rossini, Richard Wagner, Vincenzo Bellini.
Proprio a palazzo Gangi, nell'ottobre del 1980, fu allestito il ricevimento in onore della regina Elisabetta II d'Inghilterra e Filippo di Edimburgo in visita a Palermo. Oggi il palazzo viene considerato tra le dieci residenze dinastiche private più belle d'Europa.
È quindi facile capire perchè il grande regista Luchino Visconti, arrivato a Palermo per le riprese del film "Il Gattopardo" decise di girare proprio qui la scena più importante, e cioè quella che nel romanzo Tomasi di Lampedusa ambienta nel palazzo dei principi di Ponteleone.
Dopo aver visto palazzo Gangi Visconti non ebbe dubbi, l'ambiente era perfetto e non fu necessario nessun trucco scenografico.
Le riprese della scena del ballo, che ricordiamo per durata occupa quasi metà del film, furono girate in una torrida estate del 1962 durante cinque settimane e coinvolse ben seicento comparse. Si girava di notte per potere meglio sopportare il caldo, dalle 18 fino alle 5 del mattino. Il regista ed il direttore della fotografia Rotunno utilizzarono al minimo la luce artificiale e scelsero di illuminare tutte le sale, lampadari compresi, con migliaia di candele che puntualmente per il caldo si scioglievano velocemente per cui ogni ora era necessario interrompere le riprese per poterle cambiare tutte.
Sul set tutti gli uomini portavano oltre a costumi con spessi panneggi i guanti bianchi che, sempre per il caldo, puntualmente si ombravano di sudore; particolare che comunque nessuno avrebbe notato, tanto meno nel film. Non la pensava così un perfezionista come Visconti che pretese sul luogo una lavanderia con decine di donne addette a lavare centinaia di guanti per renderli lindi ed immacolati per le riprese.
Gli aneddoti sul film e le fisime di Visconti sono molteplici ed hanno contribuito a rendere questo film leggendario. Fatto è comunque che da quel momento questa magnifica dimora fu resa immortale, infatti quando si parla di palazzo Gangi immediatamente dopo si aggiunge che si tratta del palazzo del Gattopardo quasi fosse un ulteriore titolo nobiliare.
Raramente connubio fu più felice e riuscito: sia il palazzo che il film da quel momento vivono in simbiosi nella memoria collettiva, per cui visitare il palazzo permette di vivere sulla propria pelle l'indimenticabile sequenza della scena del ballo, dove Angelica ed il principe di Salina, come ologrammi proiettati dalla nostra mente, sono ancora lì, belli ed eleganti, a volteggiare sulle splendide note del valzer di Verdi.
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