AMBIENTE
C'è chi vuole "sparare" alle nuvole: la (curiosa) soluzione contro la siccità in Sicilia
Tra le proposte per risolvere l'emergenza idrica, quella di ricorrere al "cloud seeding" per stimolare le piogge. Vi spieghiamo in cosa consiste e se fattibile
Senza acqua sarebbe d’altronde impossibile continuare ad immaginare la Sicilia come una regione prospera, accogliente, quel granaio d’Italia che per moltissime generazioni – dai tempi dell’unificazione dell’isola all’Impero Romano – che ha concesso alla nazione di crescere e nutrirsi.
Consapevoli, tuttavia, che le prossime estati potrebbero essere ancora più calde e aride, per via degli effetti del cambiamento climatico, urge comunque pianificare delle soluzioni che possano migliorare la situazione idrica dell’intero Mediterraneo. E fra le principali proposte suggerite dagli esperti nel corso di queste ultime ore c’è il cloud seeding, un processo controverso già utilizzato in altri angoli del globo (a proporla al governo regionale una mozione presentata da un deputato all'Ars di Fratelli d'Italia).
Secondo i fautori di questa tecnica, il suo impiego permetterebbe ad alcune regioni di ricevere una maggiore percentuale di pioggia, amplificando notevolmente la quantità delle precipitazioni durante i momenti di crisi. Queste particelle fungerebbero in pratica da attrattori di umidità o da nuclei di condensazione, che nel medio periodo formerebbero a loro volta dei micro-addensamenti da cui si svilupperebbero le nuvole.
Alcune delle sostanze usate per questo scopo, come lo ioduro d’argento o le micro particelle di anidride carbonica solida, sono state tra l’altro considerate completamente sicure da diversi team di meteorologi del mondo, sebbene non è ancora certo che questa tecnica di geoingegneria non produca delle conseguenze nel lungo periodo.
Attualmente il cloud seeding è stato ampiamente utilizzato in alcuni paesi sottoposti già da tempo alle conseguenze del caldo estremo, come gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Marocco e la Russia, ma a causa della diffusione di diverse fake news sui social al termine dell’alluvione che ha colpito la regione di Valencia, in Spagna, oggi questa tecnica ha meno sostenitori rispetto a soli pochi mesi fa.
Alcune star della società spagnola, come il cantante Miguel Bosé o il calciatore Álex Bernal, hanno infatti aspramente criticato il cloud seeding nelle ore seguenti l’alluvione, affermando che l’elevata quantità di pioggia giunta in Spagna sia stata infatti solo conseguenza del suo frequente utilizzo in Marocco e sulle coste dei paesi dell’Africa Settentrionale.
Per quanto affascinante, questa teoria è stata però smentita da tutti i meteorologi spagnoli e internazionali, interpellati per rispondere alle critiche, tanto che l'autorità nazionale governativa spagnola sulle questioni meteorologiche, nota con la sigla AEMET, non ha espresso alcuna preoccupazione nel futuro impiego del cloud seeding nella stessa Spagna, a partire dai mesi immediatamente precedenti il disastro.
Tutti gli occhi degli esperti sono infatti puntati altrove, ovvero nei confronti del cambiamento climatico, che favorisce lo sviluppo di fenomeni estremi improvvisi a seguito dell’aumento di temperatura dell’Atlantico e del Mediterraneo.
Immaginare quindi di usare il cloud seeding in maniera diffusa per la Sicilia è una proposta sicura o no?
Per rispondere a questa domanda, come prima cosa dovremmo riconsiderare quali sono i problemi che inducono la nostra Isola a rimanere assetata e poi considerare i costi.
La Sicilia sta lentamente divenendo una terra arida non tanto per la carenza di piogge, ma soprattutto per la nostra capacità di gestire le risorse idriche. Buona parte degli invasi presenti sulla nostra isola sono infatti colmi di detriti. La maggioranza delle condutture presentano delle perdite. Non siamo in grado di raccogliere buona parte delle piogge, che finiscono tra le fogne, e la nostra popolazione è abituata a sperperare costantemente l’acqua, amplificando il problema della siccità.
Oltre a ciò, possiamo anche affermare che la politica degli ultimi anni non ha saputo gestire o comprendere il problema, mentre il numero ridotto d’invasi (e secondo alcuni di dissalatori) pesa sulla nostra “indipendenza idrica”.
Con l’inquinamento delle falde acquifere e l’approfondimento del cuneo salino marino verso l’entroterra abbiamo infine anche perso buona parte delle risorse idriche sotterranee, per quanto si stiano facendo dei primi passi di miglioramento in questo senso.
Immaginare quindi di rivolgersi ai droni e agli aerei (che necessitano di carburanti) per formare un maggior numero di nuvole nel cielo potrebbe non bastare, soprattutto quando potremmo sfruttare quei fondi necessari per seminare la pioggia nelle riparazioni dei danni presenti nelle dighe e nel complesso sistema di tubature, che avvolgono l’isola come una sorta di enorme ragnatela.
Per il bene del nostro futuro, sarebbe quindi più opportuno cercare di risolvere prima di tutto i vari problemi che sono presenti al livello del suolo, piuttosto che confidare nelle capacità taumaturgiche di una tecnica costosa, che deve essere vista più come una soluzione d’emergenza, che una vera e propria strategia ambientale a lungo termine.
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