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Aveva una mano per acchiappare e una per contare i piccioli: la novella di padre Sazio

C’era una volta un parrino nel paese di Montepipi, padre Sazio Rodriguez si chiamava. Uomo di carità -per carità!- ma con l’unico difetto: si cuntava picciuli in ogni sacramento

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 16 settembre 2020

Un dipinto del pittore Giuseppe Molteni

C’era una volta un parrino nel paese di Montepipi, padre Sazio Rodriguez si chiamava, che aveva due mani: una per acchiappare e l’altra per contarsi i picciuli delle offerte, dei battesimi, comunioni, matrimoni e funerali (si cuntava picciuli in ogni sacramento in buona sostanza).

Uomo generoso e di buon cuore quando si trattava di apparecchiare la tavola per lui, quando invece aveva ospiti non si scordava mai di arricordare che santo Tizio, santo Caio e santo Sempronio, essendo stati timorati di Dio, vita di elemosina avevano fatto.

Pane duro, formaggio addimurato e acqua di pozzo, questo era il menù fisso quando alla sua tavola sedeva un invitato; quando, al contrario, si trattava di fare il commensale in casa altrui non mancava mai di puntualizzare che ci voleva poltrona adeguata alle sue natiche da pastore, perché, oltretutto, vista la beatitudine del suo operato, e di questo non si faceva persuaso, al posto delle stigmate era stato colpito da altra piaga: come egli stesso amava enunciare in quella lingua, potendo vantare una quantomai non comprovata discendenza spagnola da nonno paterno di Saragozza, “estaba sufriendo de hemorroides”.
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Inoltre, prima di assittarsi, ci teneva a precisare che se non si trattava di pesce manco per le scarpe perse di Gesù Cristò si sarebbe messo a tavola; e che, almeno, se nessuno si era messo in testa di scombussolare il suo santifico stomaco, si doveva trattare di scampi, orata e bianco d’Alcamo a salire.

Uomo di carità -per carità!- ma con l’unico difetto, ovviamente condizionato sempre dalla troppa rettitudine, che quando qualche morto di fame si appresentava in sagrestìa per picciuli gli diceva: “di unni vinisti di cca’? Vatinni di dda’!”; lo invitava, insomma, a non profittarsi della bontà di un servo di Dio; e, quando lo scortava sull’uscio della porta, non mancava mai di recitare tale precetto per istigare senso di colpa: “Fratello, ricordati che c’è sempre qualcuno che ha più fame di te. Tre Padre Nostro e tre Ave Maria!”. E quando suonava il telefono in piena notte, perché qualcuno era stato chiamato in paradiso senza preavviso, chiusa la cornetta, ‘na piroetta, ed esultava tipo gol di Van Basten in semifinale di Coppa Campioni.

Un giorno meschino, crudele e caino, lo squillo gli cunzò uno scherzo del destino: il caso volle che a cogliersela quella notte fu Vito Bonriposo, il becchino del paese, nonché suo compagno di truffe, che stava a lui come Bonnie stava a Clyde.

La mattina appresso la moglie del becchino, Assunta, Maria Catena, Addolorata, Croce di cognome, detta mala jurnata, si presentò al suo cospetto perchè prima delle vedovanze c’era da affrontare la fame dei picciriddi che rimanevano orfani di padre e di pietanze.

Non ve la prendete con padre Sazio se sotto la scrivania si alzò la tunica e per scongiurare il cattivo presagio e, visto che gli mancava il sale e stava mastichiando un tozzo di pane, si getto nelle reliquie un po’ di farina di tumminia:la femmina nome troppo pesante teneva! “Patri Sa’, se parla la sottoscritta, la mettono in soffitta e buttano la chiave!” “Orsù, dunque, chi è costei”, e ogni virgola la farina di tumminia cadeva come grandine a dicembre, “per puntar dito contro chi di Dio è stato ill braccio e lo ha servito?”

La donna si mise le mani nei fianchi: «per carità, patri Sa’, i vostri intenti sono buoni... se non fosse per il fatto che, zitto zitto, vi siete ammuccato Alì Babà cu tutti i quaranta ladroni!» Padre Sazio sudava, e quando sudava era chiaro che recitava; questo almeno lo sapeva chi con lui aveva ci aveva lasciato lo stipendio a carte e mangiato di malefatte.

“Statti calma, torna in te, una nave è fatta di una poppa e di una prua.” e citando la parabola del figlio il prodigo aggiunse scaltramente “Figliola tu sei sempre con me è ogni cosa mia è tua”. Che cosa poteva fare a quel punto padre Sazio se non approfittare dell’ignoranza della povera vedova, che alla scuola elementare ci andava solo per pulire e spolverare?! Acchiappò un foglio bianco e, con la faccia verso il cielo rivolta a firmamento, le disse: “Figla mia, statti buona, che ti faccio testamento.”

E il testamento glielo fece per davvero, ma siccome ci voleva un testimone la pregò di tornare la settimana appresso, risendosela sotto il baffi perchè con quel foglio, padre Sazio, quella sera, ci avrebbe fatto il pollo arrosto. Funerale, chiancituta e vestino nero, passarono due settimane e si fece luglio, e con esso arrivo la festa della santuzza.

La donna, che era nata a Palermo, aveva un debole per la santa, l’acchianata e tutto il resto. Sicchè, che regalo poteva fare a padre Sazio per ringraziarlo di quell’opera di bene che si chiamava testamento? “Ho trovato!”, disse, “Gli porto da Palermo un po’ di babbaluci che padre Sazio è licco e non è mangiate mai”. Detto fatto, Assunta tornò a Montepipi con le babbaluci per il prete e il ringrazio non fu poco. A sera fatta, che ogni fedele s’era andato a rompere le corna a casa propria, padre Sazio si cunzò la tavola ed il piatto prelibato.

Quella sera pioveva ed un fulmine s’era portato via la luce. “Poco male”, disse lui, “m’addumo una candela e mi faccio ‘na sorsata, e se vuole u Signuruzzu, si comincia la sucata”, poichè non sono babbaluci se non si mangiano sucando. Ora, che ne poteva sapere padre Sazio, e nella vita sua si era mangiato pure i piedi del tavolino, che, giusto giusto, soffriva di una fortissima allergia alla bava delle lumache? Buone erano buone, ma, appena finì di mangiare, un colpo di tosse, uno scisone, gonfiò tutto in faccia e, per colpa di uno schock anafilattico, morì a panza china.

L’indomani le campane suonavano a lutto: era morto il parrino del paese. Il sagrestano, mentre tra le lacrime faceva le pulizie, trovò un foglio con il testamento: padre Sazio, lasciava tutte cose ad Assunta, Maria Catena, Addolorata, Croce di cognome, detta mala jurnata, moglie del becchino. Morale: non v’ammazzate ad accumulare perchè nel tabuto ci entra poco e forse niente.
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