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Adesso la conferma è ufficiale: il Coronavirus circola nelle aree più inquinate delle città

La Società Italiana di Medicina Ambientale ha pubblicato i risultati di uno studio sulla relazione tra l'inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dell'epidemia

Balarm
La redazione
  • 24 aprile 2020

foto Pixbay

Particelle di Covid-19 ritrovate nel particolato atmosferico. Per la prima volta si è avuta una prova dello stretto legame tra la presenza del Coronavirus e inquinamento. Ad annunciarlo è stata la Società Italiana di Medicina Ambientale che ha pubblicato i risultati di uno studio sulla relazione tra l'inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione dell'epidemia da Covid-19.

Un risultato importante - preceduto nei giorni scorsi da altre avvisaglie, come quella relativa alla relazione tra la minore circolazione del virus in quelle città in cui si registra un miglioramento della qualità dell'aria.

Questa prima prova infatti apre diversi scenari che prevedono ad esempio la possibilità di testare la presenza del virus sul particolato atmosferico delle nostre città nei prossimi mesi come indicatore per rilevare precocemente la ricomparsa del coronavirus e adottare adeguate misure preventive prima dell'inizio di una nuova epidemia.

L'obiettivo di questa prima parte della ricerca era quello di cercare la presenza dell'Rna del Sars-CoV-2 sul particolato atmosferico. I primi risultati derivano dall'analisi effettuata su 34 campioni di particolato (PM10) nei siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d'aria per un periodo continuativo di 3 settimane - dal 21 febbraio al 13 marzo.

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«I campioni sono stati analizzati dall'Università di Trieste in collaborazione con i laboratori dell’azienda ospedaliera Giuliano Isontina, che hanno verificato la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame - spiega Leonardo Setti, coordinatore del gruppo di ricerca scientifica insieme a Gianluigi De Gennaro e a Miani -. I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari».

L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon indicatore per verificarne la diffusione negli ambienti chiusi come ospedali, uffici e locali aperti al pubblico. Le ricerche, infatti, hanno ormai chiarito che le goccioline di saliva potenzialmente infette possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri, imponendoci quindi di utilizzare per precauzione le mascherine facciali in tutti gli ambienti.

La prova che l'RNA del SARS-CoV-2 può essere presente sul particolato in aria ambiente non attesta ancora con certezza definitiva che vi sia una terza via di contagio”, prosegue De Gennaro. «Tuttavia, occorre che si tenga conto nella cosiddetta Fase 2 della necessità di mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus».

Intanto, la presenza del virus sulle polveri atmosferiche è una preziosa informazione in vista dell’imminente riapertura delle attività sociali, che conferma l’importanza di un utilizzo generalizzato delle mascherine da parte di tutta la popolazione. Se tutti indossiamo le mascherine, la distanza inter-personale di due metri è da considerarsi ragionevolmente protettiva permettendo così alle persone di riprendere una vita sociale.

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