MISTERI E LEGGENDE
A Messina lo vedono tutti ma pochi sanno la verità: quello che non conosci di Colapesce
Secondo la versione messinese, Colapesce è un pescatore di nome Nicola dotato della soprannaturale abilità di nuotare come i pesci. Vi raccontiamo un'altra storia
Fontana del Nettuno a Messina
Persino la patria di questo eroe leggendario è contesa, ma ha prevalso la versione messinese che lo vuole peloritano, del Faro, – donde il nome – rafforzata da una maledizione lanciatagli dalla sua stessa madre, adirata per quanto tempo passava in mare.
Insomma, questi racconti sono piuttosto noti, ma nessun sa che Colapesce ha una statua a Messina, ed è anche in bella evidenza.
Ma ora, raccontiamo questa fiaba.
Si narra che lo Stretto, passaggio obbligato sulle rotte dei mercantili, fosse funestato da due possenti sirene, dai nomi Sciglia e Carilla; l’una era molto bella, l’altra era più ferina, ma entrambe intessevano canti ammalianti che addormentavano le ciurme dei bastimenti facendo lor perdere il controllo e affondare.
C’era in quel tempo sulle rive dello Stretto un gigante dal volto barbuto e truce che sapeva nuotare sott’acqua proprio come un animale marino e perciò veniva chiamato Pesce. Il possente gigante si offrì agli abitanti dello Stretto per catturare le due feroci sirene, con un intento provocatorio: quelli della Calabria non credevano che ci sarebbe potuto riuscire e perciò scommise contro di loro.
Alla fine, il gigante riemerse trascinando con sé le due donnone acquatiche piangenti incatenate collo e mani. Sciglia e Carilla furono uccise e mummificate in ricordo dell’avvenimento.
I Messinesi realizzarono una statua del gigante Pesce con le sirene domate per onorarlo dell’impresa. Siccome gli abitanti della Calabria continuavano a non credere alla vittoria di Pesce, egli si fece ritrarre con le natiche al vento in direzione della costa italica, dichiarando: “Miei cari Messinisi, / tiegnu ’n culu ê Calabrisi!”.
La dirimpettaia Reggio tuttavia, ammettendo l’errore, fu ben lieta di ricompensare con una rendita perpetua il gigante Pesce per il suo prezioso servigio contro i pericoli del mare. Pesce sarebbe morto pochi anni dopo, a causa delle sue continue immersioni prolungate; per quanto amico dell’acqua, era pur sempre una creatura della terra.
Questa fiaba è stata trascritta in messinese dalla viva voce di Sara Barbiera dal celebre antropologo palermitano Giuseppe Pitrè insieme a molte altre, e la si trova nei suoi volumi della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane XVIII e XXII, Fiabe e leggende popolari siciliane e Studi di leggende popolari in Sicilia e nuova raccolta di leggende siciliane (rispettivamente ai capitoletti CV e XVII).
Chiunque può riconoscere le mostruose Scilla e Cariddi in Sciglia e Carilla, ma qualunque messinese e chiunque abbia visitata la città e la ricordi bene, sta già pensando sicuramente alla Fontana del Nettuno. Ebbene: hanno indovinato.
La Fontana del Nettuno, veramente una delle meraviglie di Messina proveniente direttamente dal suo periodo aureo di repubblica marinara (che fu almeno tra 1197 e 1679 d.C.), fu realizzata nel 1557, su committenza della Giurazia, dal Montorsoli (fra’ Giovann’Angelo), uno dei migliori allievi del celeberrimo Michelangelo Buonarroti.
Con questo monumento la Giurazia, cioè l’esavirato – i 6 Giurati (poi Senatori) eletti annualmente da Nobili e Cittadini – al governo di questa nostra piccola ma ricchissima repubblica, intendeva sfoggiare il rapporto privilegiato e sponsale di Messina con il mare, al quale essa, tramite i commerci, doveva tutto.
Il gigantesco Nettuno, Dio di tutte le acque, è rappresentato mentre fuoriesce dal mare stendendo la mano aperta verso la Città in segno di offerta munifica della ricchezza che dalla navigazione procedeva, mentre ai suoi fianchi le mostruose ninfe marine Scilla e Cariddi, incatenate, sono state domate affinché non possano più scatenare tempeste nocive per il commercio.
Dopo il terremoto del 1908 la Fontana del Nettuno, ricollocata dinanzi al nuovo Palazzo del Governo, è stata rivolta verso il mare anziché verso la terra, con lo scopo apotropaico di trasformare il gesto di Nettuno in dominazione di terremoti e maremoti, essendo egli il dio dei sismi.
Il ceto umile di Messina, poco istruito eppure interessato, a suo modo, agli opulenti monumenti della Città, interpretò che la grande statua fosse d’un gigante chiamato Pesce in virtù dei suoi caratteri marini, e che le due statue di donne mostruose e serpentesche raggomitolate ai suoi piedi fossero di queste due sirene Sciglia e Carilla che conservano sostanzialmente intatti i nomi originali, da lui domate come già intende raffigurare il gruppo scultoreo, mentre l’eroe dà le spalle – anzi, le natiche! – alla Calabria facendolo sembrare uno sfottò dello stesso Pesce.
Che il Gigante Pesce sia lo stesso Colapesce lo suggeriscono, oltre il nome, le medesime qualità natatorie e che si sia trovato a fronteggiare i mostri dello Stretto.
Già il grande Pitrè osservò l’identicità delle figure, trattando "La leggenda di Colapesce", ove fa notare come, al contrario, è proprio da Nettuno che può essere derivato Colapesce tramite San Nicola, sostituto cristiano del dio olimpico, molto amato nell’antica Messina (ma questa è un’altra storia!).
La plebe di Messina, pur nella sua ignoranza, condivideva la curiosità e l’acume della sua gente più elevata e non rinunciava ad amare quei monumenti così complessi e significativi, inventando laddove non riusciva a comprendere, così sono nate diverse fiabe relative alle statue messinesi; alcune di esse le si può sentire tuttora raccontare (mi riferisco a Mata e Grifone, invero Cam e Rea), altre sembrano dimenticate.
Ma… le mummie di Scilla e Cariddi dove sono?!
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
ITINERARI E LUOGHI
Il borgo in Sicilia che "vive" in simbiosi col mare: la spiaggia ti incanta al primo sguardo