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A "caccia" di tartufi ma con le regole: anche in Sicilia (finalmente) una legge sulla raccolta

Il Parlamento siciliano ha votato una legge che consente di regolamentare il settore della raccolta del tartufo contribuendo alla sua salvaguardia. Ecco cosa prevede

Balarm
La redazione
  • 16 dicembre 2020

Tartufo bianco

È considerato l’oro della vegetazione spontanea: stiamo parlando del tartufo che, anche in Sicilia, ha amanti ed estimatori.

Gli appassionati sanno molto bene che, trovato un giaciglio di tartufo quello diventa “luogo sacro” per una raccolta sicura, spesso non rispettosa dell’ambiente.

Fino ad ora, a tal proposito, la raccolta del tartufo non è mai stata regolamentata da alcuna norma che ha consentito, tra le altre cose, anche a persone provenienti da altre regioni di approfittare (diciamo così) delle preziose pepite.

Adesso finalmente il Parlamento siciliano ha colmato il vuoto normativo votando una legge che consente di regolamentare il settore della raccolta del tartufo contribuendo, così, anche alla sua salvaguardia.

Di conseguenza si potrà predisporre anche uno «sfruttamento economico controllato della coltivazione».

Già da anni, infatti, sono stati avviati studi per l’individuazione di zone della Sicilia microbiologicamente adatte alla coltivazione ma l’assenza di una regolamentazione comune aveva lasciato spazio alla raccolta indiscriminata, nel mancato rispetto del territorio.
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Tra le varianti del tartufo, oltre a quello "nero", c’è anche il “bianco” ed altre sottospecie meno pregiate ma non per questo meno ricercate o buone da consumare.

Quando si vengono a creare le giuste condizioni di umidità e temperatura il fungo produce i corpi fruttiferi e, forse non tutti lo sanno, i tartufi sono a tutti gli effetti il frutto del pianta e contengono al loro interno le spore, il mezzo che il fungo usa per propagarsi.

Una raccolta non ponderata porterebbe, quindi, all’estinzione dei tuberi.

I tartufi sono formati da una parete esterna detta “peridio" che può essere liscio e chiaro, come nel caso del "Bianco pregiato," oppure scuro e dotato di scaglie pronunciate, come per lo "Scorzone estivo".

Il colore può variare dal bianco, al marrone nocciola oppure al nero violaceo a seconda delle specie. Le spore, se si vengono a trovare nelle condizioni adatte, sono in grado di produrre un nuovo tartufo (detto micelio nel gergo scientifico).

Vivendo completamente sotto terra, questi funghi hanno sviluppato una strategia che permette alle spore di diffondersi il più possibile, aumentando quindi le probabilità che qualcuna possa venirsi a trovare nelle giuste condizioni per geminare.

Ad attirare l’attenzione è, infatti, l’intenso profumo emanato dai tartufi riconoscibile dai nasi più raffinati degli esperti o da determinati animali come cani, volpi, topolini, talpe e diverse specie di insetti.

Il tartufo "vuole" essere mangiato, perché è questo il suo modo per diffondere le spore che contiene nell’ambiente, ma diverso è il risultato di diffusione se il tubero viene preso e portato via dall’ambiente naturale.

La legge appena approvata in Sicilia prevede regole simili a quelle per la raccolta dei funghi spontanei, già esistente.

Diventa obbligatorio possedere un tesserino per i raccoglitori, viene specificato un limite per la raccolta che riguarderà anche i tempi e le modalità della stessa, oltre ai criteri per la lavorazione e la conservazione. Vietata la raccolta di notte, nelle zone protette per la fauna selvatica e nei giorni in cui è consentita la caccia.

La tartuficoltura, dunque, grazie proprio alla ricchezza di produzione spontanea potrebbe rappresentare un settore di punta nell’agricoltura siciliana: le basi perché la nostra Isola diventi luogo di produzione d’eccellenza ci sono tutte.
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