"Il giardino della memoria" fiorisce sul palco del Biondo per dar voce al piccolo Giuseppe Di Matteo

"Il giardino della memoria" (foto di Rosellina Garbo)
Uno spettacolo che rievoca uno dei più efferati delitti mafiosi degli ultimi decenni, il rapimento e l'assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo: "Il giardino della memoria", tratto dall’omonimo romanzo di Martino Lo Cascio, va in scena per la nuova stagione del teatro Biondo di Palermo.
Il testo di Lo Cascio prende vita nella Sala Strehler con gli attori Fabrizio Falco e il piccolo Davide Parisi, diretti da Maurizio Spicuzza sulle scene di Luca Mannino e le musiche di Angelo Vitaliano.
Il monologo si concentra sui 779 giorni di prigionia del ragazzo, ricostruiti in scena dal narratore attraverso un montaggio di materiali documentali e delle deposizioni processuali rilasciate dai responsabili del sequestro e dell’orribile omicidio.
Alla banalità del male, che via via emerge da quei racconti, fa da contraltare la voce di Giuseppe, che ascoltiamo in un flusso ininterrotto di coscienza mentre cerca di resistere e di dare un senso a quanto gli sta accadendo: riflette, sogna, gioca, delira, con la mente sempre più sconvolta dalle deprivazioni e dalla feroce solitudine.
«Ho scritto romanzo e monologo – spiega l'autore Martino Lo Cascio – per ridare la parola a chi ha vissuto quell’orrendo supplizio, sbatacchiato tra sette diversi bugigattoli sparsi per la Sicilia. Per usare un’espressione del narratore, penso che "un ricordo che si ferma a pochi decenni non rende giustizia a una storia che coinvolge la comunità intera. La memoria deve farsi tangibile in un fatto squisitamente pubblico, collettivo, corale". Penso che lo spazio teatrale sia il posto per eccellenza dove liberare questa Voce trasformandola in un parto di vita e di riscatto per quelle ferite».
Il testo di Lo Cascio prende vita nella Sala Strehler con gli attori Fabrizio Falco e il piccolo Davide Parisi, diretti da Maurizio Spicuzza sulle scene di Luca Mannino e le musiche di Angelo Vitaliano.
Il monologo si concentra sui 779 giorni di prigionia del ragazzo, ricostruiti in scena dal narratore attraverso un montaggio di materiali documentali e delle deposizioni processuali rilasciate dai responsabili del sequestro e dell’orribile omicidio.
Alla banalità del male, che via via emerge da quei racconti, fa da contraltare la voce di Giuseppe, che ascoltiamo in un flusso ininterrotto di coscienza mentre cerca di resistere e di dare un senso a quanto gli sta accadendo: riflette, sogna, gioca, delira, con la mente sempre più sconvolta dalle deprivazioni e dalla feroce solitudine.
«Ho scritto romanzo e monologo – spiega l'autore Martino Lo Cascio – per ridare la parola a chi ha vissuto quell’orrendo supplizio, sbatacchiato tra sette diversi bugigattoli sparsi per la Sicilia. Per usare un’espressione del narratore, penso che "un ricordo che si ferma a pochi decenni non rende giustizia a una storia che coinvolge la comunità intera. La memoria deve farsi tangibile in un fatto squisitamente pubblico, collettivo, corale". Penso che lo spazio teatrale sia il posto per eccellenza dove liberare questa Voce trasformandola in un parto di vita e di riscatto per quelle ferite».
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