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Magliette rosse al Festino sì, per lanciare un messaggio universale: no al razzismo

Combattiamo perché non prevalga un’identità che non ci appartiene, siamo un popolo di migranti, oggi come ieri. Nessuno si è mai sognato di fare del Festino un momento di propaganda politica

  • 18 luglio 2018

Magliette rosse al Festino di Santa Rosalia a Palermo

Il messaggio che abbiamo voluto portare al 394° Festino indossando delle magliette rosse, in un mondo normale e in un'epoca normale, unisce e non divide: no al razzismo. Scrivo dopo aver letto l'articolo di Giovanni Callea, in cui si critica il Sindaco per la sua scelta di esporre, durante il corteo di Santa Rosalia, la maglietta rossa “Santa Rosalia aprici i porti”.

La tesi del suo articolo è che “Il Festino è una festa identitaria della città di Palermo, un po' come il Palermo Calcio unisce più che dividere”, e quindi quello di Orlando sarebbe “un gesto smaccatamente politico e incurante delle altre posizioni della città”.

Io sono stato fra i promotori, col Forum Antirazzista, dello spezzone “in rosso”: uno spezzone multiculturale che intendeva manifestare il proprio messaggio in forme e modalità del tutto rispettose dell’occasione. Lo abbiamo fatto non da stranieri, ma da palermitani quali siamo, io e tante persone migranti, che anche grazie a questo momento hanno partecipato al Festino, sentendosi a casa proprio testimoniando una tensione che li investiva in prima persona.
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Una questione che in tanti riteniamo urgente, attuale. E per questo chiediamo rispetto. Un rispetto che si esprime anche non considerando questa nostro messaggio strumentale. Ma poi chiedo: strumentale rispetto a cosa? Il fatto che il Sindaco abbia fatto proprio questo messaggio lo ha esposto a critiche, rispetto alle quali penso che egli abbia il diritto e il dovere di difendersi da solo.

Tuttavia vorrei che ciascuno riflettesse su dove siamo arrivati, se perfino un tema come quello della sacralità della vita umana, e come quello dell’uguaglianza fra le persone, può diventare qualcosa di divisivo. La banalità del male sovverte l’ordine delle cose, rende popolare e confortevole un posizionamento inaccettabile.

Così è sempre stato nella storia e così è oggi. Nessuno si è mai sognato di fare del Festino un momento di propaganda politica; qualcuno piuttosto ha ritenuto che il festino fosse un’occasione per manifestare una tensione che ritiene vitale. Cosa c’è di male in questo?

Se il Festino è, come è stato detto, una “festa identitaria”, come si può voler proporre un’identità vuota e priva di caratterizzazioni?
L’identità di un individuo, di un popolo e di una città è sempre un campo di battaglia. Noi siamo qui a combattere perché non prevalga un’identità che storicamente non ci appartiene, in quanto popolo di migranti, oggi come ieri.

Sono orgoglioso di un’amministrazione che combatte questa sfida politica e culturale, rispettando i luoghi ma non negando il proprio punto di vista. Un racconto che influisce sulla realtà, esattamente come sta influendo sulla realtà il fatto che dei migranti si parli come di scorie, come di scarti che nessun Paese vuole e che nessuno rispetta.

In ultimo, per evitare una deriva definitivamente turistica di questa manifestazione, da palermitano sono contento che il festino si faccia esperienza viva. E se ciò è destinato a generare conflitto, allora questo è segno di una ritrovata vitalità che secondo alcuni - vedi il recente articolo di Maresco su Repubblica Palermo - il Festino avrebbe via via perso e che iniziative come quella delle magliette rosse almeno in parte gli restituiscono.

Un sindaco - ‘u sinnacu in questo caso - può essere bravo o può essere cornuto per vari motivi; pensare che diventi cornuto perché è antirazzista e pensa, e dichiara, che sia giusto salvare le vite in mare e non riconsegnarle a un Paese che non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra dice molto di più sui tempi che corrono che sul Sindaco Orlando.
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