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In una terra che vuole di vivere di turismo l'aeroporto che chiude è una tragedia

La vicenda dell'aeroporto di Trapani Birgi si trascina ormai da quel 2013 in cui fu raggiunto il picco di flussi con quasi 2 milioni di passeggeri: forse, se ci svegliassimo

Giovanni Callea
Esperto di marketing territoriale e sviluppo culturale
  • 19 aprile 2019

Di questi giorni la notizia che gli amministratori di Airgest, la società di gestione di Trapani Birgi, intendono procedere con la liquidazione della società ed alla conseguente chiusura dell’aeroporto, notizia successivamente smentita dal Presidente Musumeci. Il dato evidente è che nessuno sembra avere al momento il timone di questa barca.

La vicenda di Birgi si trascina ormai da un lustro, da quel 2013 in cui fu raggiunto il picco di flussi con quasi 2 milioni di passeggeri considerato il punto di pareggio per l’aeroporto.

Nello scorso ottobre si ebbero definitivi segnali che qualcosa non andava, Ryanair, la compagnia che aveva rappresentato il decollo di Birgi e del turismo nel trapanese, non si presentò alla gara indetta dall’aeroporto rivolta alle compagnie aeree, di fatto abbandonando l’aeroporto stesso al suo destino.

A gennaio Andrea Cassani, il sindaco di Gallarate, nel corso di una conferenza a Marsala, ha raccontato la rinascita di Malpensa dopo l’abbandono da parte di Alitalia e la crisi drammatica del territorio a cui era agganciata la sua economia.
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Ha raccontato Cassani che per farlo è stato necessario tanto impegno e tanto lavoro da parte di tutti gli attori del territorio, che hanno lavorato in squadra per un progetto comune. Oggi Malpensa è il secondo scalo italiano con oltre 24 milioni di passeggeri.

In una terra che pretende di vivere di turismo, la chiusura di un aeroporto non è materia da poco. Racconta un po’ la generale incapacità di noi siciliani di mettere a frutto il nostro potenziale.

Birgi peraltro è uno dei due aeroporti italiani (l’altro è Pisa) che non deve sostenere il costo della torre di controllo, costo annuale di circa 10 milioni di euro, in quanto può fruire gratuitamente di quella dell’aeroporto militare. Quindi sta fallendo un aeroporto che teoricamente non poteva fallire.

La Regione in questo la sua parte l’ha anche fatta, in quanto proprietaria dello scalo ha ovviamente le proprie responsabilità. Però ha fatto quanto doveva, ha ripianato i debiti dell’aeroporto, ed ha stanziato 15 milioni per il suo rilancio.

Sebbene sulle modalità io abbia molti dubbi, il dato è che i reali beneficiari, gli attori del territorio, su questi temi non sono intervenuti relegandosi al ruolo di spettatori, quasi non fosse affare loro.

Resta il fatto che KPMG, una delle principali società di consulenza del mondo ha certificato che con un investimento di 10 milioni di euro in quattro anni, l’aeroporto ha generato un ritorno per il territorio di 900 milioni di euro.

E quindi il vero beneficiario della presenza dell’aeroporto il territorio con i suoi abitanti, i suoi operatori economici, i suoi amministratori pubblici, è rimasto al balcone a guardare lo spettacolo.

L’idea che mi sono fatto è che c’è solo una causa reale che le genera tutte, e di cui questo disastro è solo il paradigma, ed è l’insipienza di noi siciliani: un territorio che vede impoverirsi e non reagisce, una classe dirigente locale che vede il tracollo e non interviene. Tutti a cercare le responsabilità altrui e nessuno pronto a superare le proprie.

Tutto questo nonostante un precedente: Malpensa e nonostante la testimonianza e la disponibilità offerta dagli amministratori del varesotto, che si sono presi finanche la briga di venire in Sicilia a raccontare un possibile modo diverso di fare le cose.

La mia sintesi, per quanto amara, è che questo esito è il combinato disposto di una classe dirigente inadeguata al servizio di un popolo inadeguato, noi tutti. Occorre a mio avviso svegliarsi al più presto da questo torpore che un po' pervade tutto in Sicilia e prendere atto che la soluzione di problemi complessi ha bisogno della partecipazione attiva di tutti noi, nessuno escluso.
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