TEATRO
Le Orestiadi, arti e culture: intervista a Claudio Collovà
Da "Le Orestiadi nel segno del contemporaneo" alla "XXXIII edizione delle Orestiadi", il regista e direttore artistico Claudio Collovà parla del futuro e della cultura in Sicilia
All'interno di un panorama culturale disastrato, che vede molti festival e teatri soffrire per l'indifferenza delle istituzioni, alcune realtà resistono e vanno avanti, proponendo programmi di qualità. Tra questi si distinguono le "Orestiadi di Gibellina", giunte quest'anno alla loro trentatreesima edizione. Abbiamo dialogato con il direttore artistico Claudio Collovà, entrando in un mondo difficile e interessante.
Le Orestiadi di Gibellina sono uno dei punti di riferimento della cultura in Sicilia: la sua formazione da regista ha influito nel modo di dirigerle?
Direi di sì. Provenendo dal mondo artistico ero già curioso dell'arte e del lavoro degli altri, ma diventare direttore artistico è stato un passaggio interessante. Da regista ero curioso per natura, adesso lo sono anche per per dovere: è stato un bel passaggio.
Cinque anni di attività non sono pochi. Quali nuovi percorsi ha avviato per accrescere le Orestiadi?
Quando fui incaricato di dirigere le "Orestiadi" gli obiettivi erano chiari e la storia era lì per ricordarli. Il mio merito, che condivido con i miei collaboratori, è forse quello di aver allargato l'orizzonte del Festival, riportandolo a un tempo in cui qui danza, musica, teatro e arti visive avevano un forte dialogo tra loro, e qui lo sono state con connessioni sempre davvero interessanti e di valore. Ho avviato collaborazioni con molte istituzioni culturali e con festival a noi vicini. Il Festival marcia verso un rapporto sempre più intenso con altre realtà, al di là dei singoli aritisti, e, vorrei che presto ci fosse un sistema di relazioni, guidato magari da un'idea anche di indirizzo. Culturale di cui la Sicilia credo abbia bisogno urgente.
Quella di sempre per quanto riguarda le arti performative. Qui presentiamo artisti che hanno reso la loro ricerca importante e necessaria. Ed è per questo che che da noi la parola contemporaneo ha un senso dal primo anno di fondazione, e cioè dal lontano 1983. Oltre gli spettacoli sono importanti gli eventi collaterali: il festival è accompagnato da mostre e attività sia permanenti che temporanee sull’arte contemporanea.
Le "Orestiadi di Gibellina" sono il Festival più antico da Napoli in giù: qual è il loro principale punto di forza?
Sono tanti: innanzitutto la storia, per esempio, sia delle "Orestiadi" - ben trentatrè edizioni - che della stessa Gibellina che le ospita, un esempio unico in Italia di città ricostruita grazie agli artisti. Poi il suo obiettivo, che non è mai venuto meno: quello cioè di interessarsi al contemporaneo e a ciò che succede oggi non solo in Italia. Inoltre gli artisti mi dicono spesso che le "Orestiadi" sono un evento curato, ma non stressati: dobbiamo rispettare l’ambiente come dire metafisico in cui lavoriamo. Venire qui deve essere un piacere per gli artisti e per il pubblico.
Le "Orestiadi nel Segno del Contemporaneo" sono invece una novità che ha coinvolto tanti spazi aperti di Gibellina. Quale è il bilancio di questa prima edizione?
Quello di un Festival particolarmente ricco. Siamo stati virtuosi nel vincere il bando nel 2011 che ci ha concesso di ottenere i fondi europei con i quali è stato realizzato. Abbiamo portato a Gibellina ben trentacinque spettacoli che hanno toccato varie discipline e che hanno coinvolto 150 artisti provenienti non solo dall’Italia e inoltre sette luoghi bellissimi coinvolti, spezzando la separazione tra la Fondazione e gli abitanti di Gibellina. Si è trattato di una grande corsa di un mese e mezzo, dalla quale abbiamo tratto grande soddisfazione.
Quali sono le principali problematiche del momento nel mantenere un Festival di così grande importanza?
Inutile negarlo: le problematiche sono sempre legate alle risorse. La Sicilia non è ancora dotata di finanziaria, uno strumento che ci permetterebbe per legge di vivere con stipendi pagati e lavoratori difesi. Abbiamo avuto tagli dell'85%, fatti a programmazione avvenuta, ed è qualcosa che non capiamo, davvero senza spiegazioni.
In una simile situazione è possibile vedere uno spiraglio di speranza? Qualcosa di positivo?
Tutti ci stanno vicini con il cuore, molti annunci sui giornali, ma è davvero un peccato che nessun politico sia mai venuto a godersi uno spettacolo o un concerto. Forse capirebbero subito il valore di questo luogo. Non esistono dei veri appigli, almeno non istituzionali. Per quanto riguarda le "Orestiadi", intravediamo delle prospettive grazie al nostro lavoro, al pubblico, agli artisti, alla qualità degli spettacoli e soprattutto nell'opera del presidente della Fondazione, Rosario Fontana, divenuto sindaco di Gibellina, che sta dando e facendo il possibile per rilanciare le attività e lo scopo della Fondazione anche attraverso interessanti percorsi di connessioni tra i comuni del Belice e lo sviluppo di progetti che si avvalgono di risorse europee.
Quali sono gli sforzi che un direttore artistico, ma in generale tutti coloro che desiderano portare avanti e mantenere viva una rassegna, devono affrontare in questo periodo?
Da soli non si può fare niente. Occorrerebbe che ci fosse un pensiero di indirizzo condiviso sulla cultura, sul rapporto con il turismo e lavorare sul sistema in generale che regoli lo spettacolo. Un festival costa, per la promozione e i servizi, per gli ingaggi, per i lavoratori. Ci sono altri festival altrettanto belli e importanti in sofferenza, non siamo i soli: basterebbe proteggerci e incentivarci, per creare indotto. Il più grande sforzo del momento è resistere al desiderio di abbandonare tutto, e continuare ad affermare nonostante tutto la volontà di esserci e di voler esistere. Certo senza risorse è impossibile.
Ultima domanda: cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova "XXXIII edizione delle Orestiadi"?
Quest'anno il Festival è un viaggio nell'odissea, grazie alla collaborazione con un progetto di Sergio Maifredi sull’Odissea, interpretato da grandi artisti della scena italiana, tra cui Moni Ovadia, Gioele Dix, Giuseppe Cederna e Maddalena Crippa, e a cui ho invitato anche Vincenzo Pirrotta. Canto dopo canto, vogliamo restituire a quest'opera il suo valore orale e alla comunità che lo ascolta la possibilità di viaggiare altrove con la sola forza della parola.
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