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Zucchero filato, bancarelle e (tanta) gente: in centro a Palermo c'era la Fiera dei Morti

In via Spinuzza, tra foglie ingiallite e caldarroste sempre fumanti c'era un appuntamento imperdibile per i palermitani, che ricordavano i propri cari

Valentina Frinchi
Freelance in comunicazione e spettacolo
  • 1 novembre 2022

Una bancarella con la frutta martorana

In quel parcheggio del centro dove i giovani del nuovo millennio amano incontrarsi per bere una birra, un tempo, ma a dire il vero non troppo tempo fa, c'era la Fiera dei Morti. In via Spinuzza, quando cominciava ad imperare l'autunno, tra foglie ingiallite e caldarroste sempre fumanti c'era una fiera, appuntamento imperdibile dei palermitani fino all'estate di San Martino.

C'era una miscela di odori, e tra zucchero filato, arachidi e mandorle tostate e zuccherate, trionfava la bambola di zucchero, una "pupaccena" variopinta e ben vestita con tanto di rossetto, guance rosse e ombretto verde acqua. Una di quelle che sarebbero rimaste in bella mostra in una vetrina di casa tra vecchi ricordi.

Insomma nella notte di zucchero, quella bambola attestava l'"amore" dei morti, spesso i nonni, che putualmente, ideologicamente, si sarebbero ricordati dei nipoti e soprattutto di quelli che magari nella vita terrena non avevano conosciuto.

Una festa, spesso immaginata, in cui arrivava un gioco nascosto dietro una tenda o ai piedi del letto per far rivivere l'affetto di chi non cera più. C'era la frutta martorana, la frutta secca, i biscotti tetù e catalani per riempire il "cannistro", il cesto in vimini che stava al centro del tavolo di tante case palermitane.
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Gli spazi di via Spinuzza erano completamente invasi da balocchi di vari tipi. Dalla via Maqueda alla via Roma potevi incontrare, passeggini per giocare a fare la mamma, ombrellini in plastica trasparente con impermeabile e calosce abbinati, la casa di Barbie (regalo supercostoso per gli anni '80), soldati, robot, piste per treni e aerei da montare.

C'era una strofa tutta palermitana che più o meno faceva così: "Talè che mi misero i morti u pupu cu l'anchi torti a atta c'abballava e u surci chi sunava".

Grandi folle di palermitani che al mattino del 2 novembre riempivano di fiori le sepolture dei propri cari, al pomeriggio e soprattutto all'imbrunire avevano un appuntamento fisso per far felici i figli, quelli piccoli, quelli che amavano viaggiare di fantasia e immaginare un'altra vita insieme a chi non c'era piu' attraverso un gioco, un regalo d'infanzia, di quelli che non dimenticherai mai.

Una festa cittadina quindi dedicata a quella vita che non c'è più ma che rimane un ricordo indelebile. Un momento di tradizione, identità, cultura, vita. Per ogni gioco, un ricordo che sapeva di appartenenza, pensando ad un momento lieto trascorso.

Quell'avvenimento insegnava alle famiglie che la mancanza è presenza. La nostalgia è vita che ancora scorre. Anni prima del 2000, prima dell'ingresso dell'euro, anni senza globalizzazione in un centro storico non così bonificato ma che raccoglieva con grande cura lo spirito della tradizione.

Oggi il culto dei morti è diventato il culto di una zucca, un'epoca in cui i bambini mettono latte e dolcetti davanti alla porta di casa, secondo una tradizione celtica.

Due tradizioni, quella siciliana e quella irlandese, così geograficamente lontane ma a tratti molto simili nel senso. A Palermo, oggi, i bambini palermitani continuano a ricevere i regali dei morti e amano vestirsi in maschera per festeggiare Halloween.

Resta il ricordo di quella via Spinuzza e di una fiera che sapeva di dolcezza e che nel tempo ha attraversato altre zone della città per testimoniare con orgoglio che noi siamo e restiamo "la festa dei morti" a Palermo.
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