STORIE
Un palermitano (d'eccezione) per Jovanotti: il fotografo che immortala le periferie umane
I suoi luoghi sono Brancaccio, Ballarò e Zen dove viene chiamato "U patruni" e dove va per raccontare una periferia diversa, in cui si nasconde un immenso bisogno di amore
Francesco Faraci e Jovanotti
Per lui – antropologo per formazione e vocazione esistenziale – addentrarsi in quei mondi è sempre stato un desiderio fortissimo, che la fotografia gli ha dato il pretesto ufficiale di esaudire. La sua liason con la macchina fotografica inizia nel 2013. È un evento funesto, il naufragio e la morte di 368 migranti a Lampedusa, a fargli scattare qualcosa dentro.
Molla la prigione-call-center in cui ha lavorato (per 6 anni) come "un leone in gabbia", per iniziare la sua carriera da fotoreporter del fenomeno delle migrazioni. Collaborando come freelancer per quotidiani e riviste del calibro di La Repubblica, The New York Times, The Guardian e Liberaciòn.
Sono questi i luoghi, Brancaccio, Ballarò, Zen, – in alcuni dei quali viene apostrofato oggi U patruni – ad alimentare la sua tensione inconsapevole e viscerale verso la fotografia.
Da questi presupposti nascono Malacarne (2016) e Atlante Umano Siciliano (2020) – divenuti poi libri fotografici – in origine dei viaggi, sviluppatisi nel corso di diversi anni, attraverso i territori dello Sperone e tra i meandri della Sicilia. In questi scatti parla di un'umanità – composta da ragazzini di quartiere, zingari della comunità rom, anziani dell’entroterra siculo – libera dagli stereotipi in cui viene facilmente circoscritta.
Emergono creature assorte nella loro meravigliosa quotidianità, intente a svolgere il gioco sacro della vita. Corpi statuari intimamente inchiodati alla pellicola. Il bianco e nero che li mette a nudo senza sacrificarne la poesia. L'intenzione principale è quella di suscitare bellezza e stupore nello spettatore, senza sottoporlo alle consuete narrazioni di violenza e degrado che circolano intorno alle periferie. Questo è il suo messaggio di denuncia: raccontare una periferia diversa in cui si nasconde un immenso bisogno di amore.
È riuscito talmente bene nel suo intento, da avere attratto su di sé altri sguardi degni di nota. Diverse star, tra cui Jovanotti e Achille Lauro, e personaggi appartenenti al mondo dello spettacolo, lo hanno infatti eletto loro fotografo d’eccezione.
La sua ascesa nell’olimpo dei vip inizia nel 2019: quando Jova – per lui il suo "amico Lorenzo" – l’ha assoldato per realizzare le cronache dei suoi "Jova beach party".
«Una sfida grandissima, umana e professionale» che ha portato, alla fine del tour, alla nascita di "Cronache da una nuova era".
Un racconto nel quale emergono i volti festosi, dissennati, travolti degli italiani che accorrevano a questi "riti collettivi", a suon di musica e danza, nelle spiagge più fighe d’Italia. Una sorta di profezia, col senno di poi, alla luce della pandemia, durante la quale il suo sguardo ha trovato ancora una volta spazio.
In suite n.5 sono raccolti alcuni suoi scatti del lockdown. Momenti in cui giovani e anziani – un po' felliniani – sono catturati in una Palermo irriconoscibile, nella quale il silenzio e il deserto troneggiano, sovrastando le sparute presenze. Un grido di speranza, che riecheggia ancora nell’incertezza di oggi.
Nonostante le difficoltà del periodo Covid, la sua fotografia si è rinnovata ed è approdata sino alle periferie romane di Achille Lauro. Anche lui prima di tutto un amico e poi un partner di lavoro. "Ragazzi Madre" è il suo ultimo progetto, realizzato come corrispettivo visivo dell’ultimo album della rockstar. Al posto del palcoscenico, stavolta i quartieri e le strade d’infanzia dell’artista della capitale.
La sua mente creativa è attualmente rapita dai nuovi progetti in cantiere: un saggio per un’importante casa editrice, un nuovo libro fotografico, nuove opportunità con Jova e un nuovo romanzo (tra le altre cose è pure scrittore!).
Nel mentre continua a camminare per le strade della sua città, amata e odiata, in cui si dischiudono mondi non del tutto sondati. Che lui continua a cercare, indefessamente, nella speranza di trovare – o forse di perdere nuovamente – la chiave del mistero che ci spinge a vivere.
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