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Quello che non sai di Carrapipi: non è solo il posto in cui "ha perso le scarpe il Signore"

Lo nominiamo quando si indica un posto difficile da raggiungere. Ora, noi le scarpe del Signore non le abbiamo trovate, però abbiamo trovato molto altro da raccontare

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 13 giugno 2022

Valguarnera Caropepe (Enna)

Se nel 1945 lo scrittore Carlo Levi, intitolando così il suo capolavoro, affermava che "Cristo si è fermato a Eboli", è altrettanto vero che mio zio Aspano, ogni volta che con la sua bat-127 color pisello si trovava in luoghi a lui scogniti, diceva sempre: «siamo finiti dove perse le scarpe il Signore».

A me questa cosa che il Signore ha perso le scarpe mi ha sempre incuriosito al punto tale che mi sono pure rivolto a padre Attilio, il numero uno indiscusso di CSI Parrocchia. Nonostante le sue incredibili doti di detective, alla fine siamo convenuti che nessuno perse niente, e che semmai ci fosse stato un candidato a poter perdere le scarpe, quello avrebbe potuto essere solo e soltanto Abramo.

Eh già, perché un giorno si stava prendendo il sole bello tranquillo, spunta Dio, gli dice “Vattene dal tuo paese in un posto che ti indicherò io”, e lui parte da Ur - una città della Mesopotamia - e si fa 700 km a piedi fino in Egitto (li ho calcolati con Google Maps), si sciarrìa (litiga) con il faraone e si fa altri 700 km fino a Betel, una città a 10 km da Gerusalemme.
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Comunque, chi le perse le perse, c’è solo un posto al mondo dove queste scarpe possono essere finite: Carrapipi!

L’associazione scarpe ru Signuri/Carrapipi (inteso come binomio, eh!) è vecchia quanto il mondo, ed è entrata così tanto nel lessico nostrano che quando si indica un posto lontano e problematico da raggiungere è impossibile non esclamare: “’nchià, a Carrapipi!”.

Ecco, noi le scarpe del Signore non le abbiamo trovate, però abbiamo trovato Carrapipi e c’è molto altro da raccontare e lo facciamo subito.

Siamo nell’età feudale, precisamente tra la metà del 1200 e i primi del 1300. Nei pressi di Enna c’era un feudo che apparteneva ad un certo Lamberto di Carupipi, e siccome era uno che si faceva i fatti suoi e non disturbava nessuno, noi per il momento lo lasciamo là. In Sicilia erano anni belli pieni: si era passati dalla dominazione Sveva a quella Angioina.

Il re Carlo D’angiò era parigino, però doveva avere qualche antenato siciliano che faceva il politico perché appena mise piede qua gli venne la malattia dell’acchiappare, pappare e del “tutto mio tutto mio”. Il siciliano è persona ospitale, lo si sa, però in materia di femmine non si sgarra.

Accade così che un giorno, per il Lunedì dell’angelo, a Palermo, un soldato di nome Droetto allunga le mani e scoppia una mega sciarra che dilaga in tutta l’isola: fuori gli angioini e viva i Vespri! In quel momento in Spagna c’era un altro signore: Pietro III.

Giusto giusto, quando nel 1282 scoppiano i Vespri, fa vent’anni di matrimonio con la nipote di Federico II, Costanza II. Era il 1262, matrimonio a Montpellier bellissimo, si è mangiato bene, invitati contenti, regali in busta: insomma, passano due decadi, vent’anni di matrimonio, nozze di porcellana, la gente qualche cosa si aspetta.

Ora, uno che si chiama Pietro III, ed è figlio di Giacomo il Conquistatore, niente fa? Si fa due conti e dice: “Stu anno, al posto dall’anello, ti regalo la Sicilia”.

Calci, sputazzate, tirate di capelli, in buona sostanza Aragonesi e Angioni cominciano a darsele di santa ragione per il possesso della Sicilia. Sempre in Spagna ci sta una famiglia di nobili: i marchesi di Vallgornera, che prendono questo titolo dal castello di Vallgornea, situato in una sottoprovincia (comarche spagnole si chiamano) nelle zone di Girona che si chiama Alt F4.

No, non è vero, si chiama Alt Empordà.

Da questo posto partirà Simone Vallgornera per unirsi alla Compagnia Catalana, una compagnia di mercenari capitanata dall’ex sergente templare Ruggero de Flor, che è al servizio di Federico III (figlio di Pietro III D’Aragona). È il 1301 e Simone Vallgornea partecipa alla difesa di Messina, assediata dagli Angioni che per la Sicilia avevano proprio il chiodo fisso.

Passa un anno e finalmente si firma la Pace Caltabellotta, Carlo D’Angiò e Federico III si vanno a bere una birra assieme, e Ruggero de Flor che senza dare bastonate non ci sa stare si mette a lavorare per Andronico II Paleologo (che più che il nome di un imperatore bizantino, pare il nome di un corso di laurea in andrologia antropologica).

Già che si trovava lì, è ricco, e pure nobile, Simone Vallgornera si fa una vacanza in Sicilia e va a scoppare propriamente nel feudo di quel Lamberto di Carupipi che avevamo lasciato sereno e al fresco.

Come ne entra in possesso non mi è ben chiaro, forse gli tira una pietra in testa, lo ammazza e se ne appropria, forse molto più semplicemente se lo compra, fatto sta che il feudo passa nelle mani di Simone.

E dato che i siciliani dimestichezza con le lingue straniere non ne hanno e tengono sempre il bisogno di parlare come mangiano, Vallgornera diventerà Valguarnera, e il feudo di Carupipi, solo nel 1549, quando Carlo V darà ai Valguarnera la “licenza aedificandi, Valguarnera di Caropepe.

Alla fine non era poi così tanto dove ha perso le scarpe il Signore… anzi, ci si dovrebbe fare un salto perché dietro ci sta una magnifica storia.
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