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Quando la Sicilia vince su tutti: Palermo è una calamita per la buona musica italiana

La visione del produttore discografico Fabio Rizzo, tra i fondatori della ormai storica etichetta palermitana indipendente 800A Records e tra le menti al lavoro a Indigo

  • 20 febbraio 2020

Il musicista e produttore palermitano Fabio Rizzo (foto di Alessandro Ferrantelli)

La chiave per portare Palermo, e poi tutta la Sicilia, all’attenzione nazionale e internazionale probabilmente non sta né nell’emulazione di altre città né nella sua «normalizzazione», ma al contrario nell’esaltazione delle caratteristiche geografiche e lessicali, dalla sua lingua alle sue musiche.

Così la pensa il produttore discografico Fabio Rizzo, classe ’79, tra i fondatori dell’ormai storica etichetta palermitana indipendente 800A Records e tra le menti al lavoro a Indigo, la residenza artistica e studio di registrazione «nascosto» dentro Palazzo Lampedusa.

Nei quattro anni passati dalla sua apertura, Fabio e la squadra di Indigo sono stati la «casa umana» di dischi come Nivuru di Alessio Bondì, Un mondo raro della coppia Cammarata/Dimartino, Bellissima noia di Nicolò Carnesi, e ancora di Tutti su per terra dei torinesi Eugenio in Via Di Gioia, del nuovo disco (ancora senza titolo) dell’inglese Paolo Nutini e di tanta altra musica siciliana e internazionale.
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Il 2020 si configura già come «l’anno d’oro» per Rizzo, al momento al lavoro su almeno cinque fronti diversi, di cui un paio considerati «top secret», «classified», anzi alla palermitana: classifaid.

«Questi quattro anni con Indigo sono stati veramente intensi. Una volta che metti su questo posto e metti su una squadra di soci, collaboratori e produttori, questa diventa realmente la tua vita. Prima la produzione, per me era una cosa crescente, ma più del 50 per cento della mia vita erano i concerti: la vita nei progetti di cui ero titolare, dai Waines passando per le avventure con gli Avanscoperta Russa e la band di Alessio Bondì.

Aver passato quattro anni "trincerato" qui dentro mi ha portato sempre più a ragionare in termini di produzione, non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche organizzativo. Adesso ho in testa una "mappa" delle persone da coinvolgere nei vari progetti. Non era facile immaginare attorno a me la figura di un arrangiatore o di altre figure che rendono l’industria musicale un mondo molto più completo. Prima di Indigo facevo un po' di tutto, adesso so qual è il mio ruolo e qual è quello di Francesco (Vitaliti, altro produttore di casa Indigo, ndr.), o di Donato (Di Trapani, terzo produttore al lavoro nello studio, ndr.)».

Fabio ha registrato i primi dischi del Pan del Diavolo, dei suoi Waines, firmato gli esordi Fabrizio Cammarata & the Second Grace, tutte cose in cui «la testa era un po’ quella dell’autoproduzione. Stabilisci comunque un linguaggio, ma ti ritrovi a fare di tutto».

Da quella realtà fatta di sforzi, sacrifici, vere e proprie trincee, sale di registrazione costruite con fatica e mattoni di suono, Fabio ha a poco a poco costruito la sua figura e la sua carriera. Nell’ultimo anno e mezzo è stato il co-produttore di Natura viva degli Eugenio in Via Di Gioia (la band torinese tra le nuove proposte del settantesimo Festival di Sanremo), e nei prossimi mesi svelerà al mondo il nuovo disco di Alessio Bondì, l’esordio di Angelo Daddelli & i Picciotti, oltre che il già citato prossimo album di Paolo Nutini.

Tutto lavoro abbondantemente ripagato se si pensa che, mentre accompagnava il palermitano di origini nigeriane Chris Obehi a Sanremo per ritirare il Premio Musica Contro le Mafie, Rizzo ha «incontrato tantissimi amici. Tutte le figure, dal produttore al management all’agenzia di booking, erano tutte figure della scena indipendente sino a qualche anno fa.

C’è un evidentissimo ricambio generazionale, e chi ha combattuto in trincea in questi dieci-quindici anni ha fatto tantissima palestra per ritrovarsi adesso lì a piazzare una serie di cose. Per esempio, il brano con cui Diodato ha vinto il Festival (Fai rumore) è stato prodotto da Tommaso Colliva, già al lavoro con i Muse da tantissimo tempo, ma parte integrante del nostro "giro di amici". Io ho co-prodotto Altrove degli Eugenio in Via Di Gioia con Stabber, che quest’anno produceva invece il pezzo di Gualazzi e quello di Anastasio. In un modo o nell’altro ci siamo ritrovati tutti lì».

La visione di Fabio Rizzo è una carta che coinvolge prima Palermo e poi tutta la Sicilia: «800A Records dev’essere un’etichetta siciliana, ma deve proiettare la nostra musica in una dimensione internazionale, svecchiando tutta una serie di stereotipi legati al folklore isolano».

Il percorso è iniziato anni fa con Alessio Bondì, «ma Alessio fa una cosa talmente sua – aggiunge Rizzo – che non può diventare "template", "cornice". Da lui però ho estratto la visione, che adesso applico a Chris Obehi, ad Aurora D’Amico, ad Angelo Daddelli, a tanti artisti di casa 800A. Mi sono accorto che sta accadendo in tantissime cose, nella moda con Dolce & Gabbana con l’haute couture fatta a Palermo. Loro giocano con la Sicilia a livello planetario da sempre. Succede nell’agro-alimentare, perché non deve succedere in musica?».

La ricetta è semplice: «Prendere il succo dalla radice siciliana e sparare a livello internazionale attraverso una serie di ragionamenti che hanno a che fare con la selezione, la produzione, la comunicazione. Cosa che non è mai stata fatta in Sicilia ed è proprio nelle corde di 800A Records.

Nel roster dell’etichetta quest’anno c’è Chris Obehi perché mi racconta la Sicilia del 2020: Chris è un ragazzo che arriva dal mare, è originario della Nigeria, approda in Sicilia e si costruisce una carriera in un posto che lo accoglie e gli dà gli strumenti, letteralmente, per portare la sua musica in alto.

Nel roster c’è Angelo Daddelli perché Angelo fa un lavoro pazzesco per tenere in vita la tradizione, e lo fa in modo radicale: con strumenti solo acustici, mandola, mandolino, col friscaletto, la fisarmonica, il contrabbasso, mettendo su un repertorio che mescola pezzi tradizionali a pezzi originali, ma scritti in quello stile. Un po’ come se fossero i The Basement Tapes di Bob Dylan & i the Band, ma in siciliano. È un progetto potentissimo. Cerco il blues da una vita, e poi me lo sono ritrovato dentro casa, e per giunta in siciliano.

Non è un problema di forme, o di accordi, o di battute. È il blues ancestrale siciliano. Quando abbiamo pubblicato il video di Abballati sui social network abbiamo visto subito che questa cosa andava tantissimo. Quasi un milione di visualizzazioni e più di diecimila "Mi piace". Questo repertorio tocca persone anche dall’altra parte del pianeta, il mondo è in continua ricerca di cose che vanno a toccare in profondità il nostro animo».

La musica è un linguaggio che arriva lontanissimo in brevissimo tempo: «Proprio a Palermo oggi ci possiamo permettere di piazzare un ripetitore della nostra natura ancestrale. Oggi siamo in grado di dialogare con tutti i Sud del mondo e diventare visibili, contrariamente a quello che succedeva dieci o quindici anni fa. Agli occhi del mondo, Palermo non esisteva da un punto di vista musicale».

E questo è cambiato anche nella testa di Rizzo: «Prima pensavo "non saremo mai come Milano". Pensavo sempre all’emulazione. Come sarebbe bello se qui ci fosse una scena in cui si fa il "bel rock" di Milano. La cosa potentissima che sta accadendo in questo momento è che ciò che esplode a livello musicale è nostro. Stabilisci una lingua molto forte e molto visibile, costruisci una tua voce. E il mondo la verrà a cercare».
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