ATTUALITÀ
Stefano Savona: regista palermitano a Gaza
È entrato il 14 gennaio dall'Egitto, e da allora, lì sul campo, documenta il conflitto a Gaza: per seguire la sua testimonianza dalla rete www.dagaza.org
Documentare il conflitto tra Palestina e Israele per darne una chiara percezione a chi si trova lontano e non vive gli orrori della guerra. Questa è l’esigenza che porta Stefano Savona, regista palermitano, a Gaza durante l’ultimo conflitto a fuoco. Ha oltrepassato il confine dall’Egitto il 14 gennaio ed è stata l’unica telecamera europea ad entrare nelle zone calde, quelle colpite dall’operazione piombo fuso. I suoi filmati, la sua testimonianza diretta è possibile seguirla dal sito internet www.dagaza.org.
Oggi al telefono aveva una voce tranquilla, quasi rassicurante, di chi sa e ha visto molto, nessuna parola è buttata a caso, ma soppesata dalla fatica di raccontare e documentare, come raramente fanno i mezzi di comunicazione in occidente. La conversazione è disturbata, si sentono voci e veicoli muoversi vicino Stefano. E così inizia la nostra conversazione:
Stefano, com’è adesso la situazione a Gaza?
«C’è la tregua, anche se stanotte gli israeliani hanno bombardato i tunnel al confine di Rafah che i contrabbandieri si erano apprestati a ricostruire. Si cerca di raggiungere un accordo più stabile, infatti, è qui a Gaza un inviato di Obama. Purtroppo non si sta mai tranquilli, spesso i conflitti riprendono quando meno ce lo si aspetta».
«A Gaza c’è l’embargo Israeliano, niente entra e niente esce se loro non vogliono, e vale anche per le persone. Per adesso hanno vietato l’entrata del cemento e quindi non si può ricostruire nulla. Per un periodo hanno bloccato l’entrata del gas, e non si poteva cucinare. Prima ancora hanno bloccato l’entrata della moneta, qui a Gaza si usa la moneta israeliana, lo shekel, e quindi non si riusciva ad acquistare niente».
Cos’è realmente Hamas, sono dei terroristi o fanno la resistenza?
«Bisogna capire cosa s’intende per terroristi, loro prima usavano molto i kamikaze, ma da due anni a questa parte usano i razzi Kassam, e non solo su obiettivi politici, ma anche civili. Ma Israele non è da meno, durante l’operazione piombo fuso ha colpito moltissimi obiettivi civili. Quindi, si possono considerare terroristi entrambi. Hamas riconoscerà lo Stato di Israele quando quest’ultimo riconoscerà la Palestina».
Di cosa c’è maggior bisogno adesso a Gaza?
«Servono aiuti di ogni sorta, molti quartieri sono attualmente senza luce e acqua corrente, mancano i medicinali, materiale edile per dar via alla ricostruzione. Qui si vive in resistenza armata, Hamas chiede di ridefinire i confini come quelli del 1968, prima della guerra dei sei giorni».
Stefano, come mai hai deciso di andare a Gaza a documentare questa guerra?
«Vedi, in occidente non ci arrivano le immagini della guerra, tutti i giornalisti sono sul fronte, tranne quelli che erano già dentro come al jazeera, nessuno si è spinto oltre. Io ho deciso di entrare, e non è stato neanche così difficile, sono arrivato il 14 gennaio in Egitto e da lì ho oltrepassato il confine con un semplice visto turistico. Il conflitto è cominciato il 27 dicembre, e da quando sono arrivato ho cominciato a riprendere, genitori che cercano i figli sotto le macerie, medici che fanno la conta dei bambini morti in un giorno a Gaza, e molte altre scene difficili da accettare».
Obama ha recentemente dichiarato che la nuova strategia degli U.S.A. rispetto al conflitto Israeliano Palestinese, sarà il dialogo e l’ascolto. I palestinesi vedono in Obama la speranza di una risoluzione concreta?
«Credono che sia meglio di Bush, ma non credono che possa risolvere realmente la questione, non si fanno illusioni».
Come si svolge la tua vita a Gaza? Dove vivi?
«Da una settimana sono nel quartiere di Zaitun quasi completamente distrutto, sto facendo un documentario su una famiglia alla quale hanno ucciso trenta componenti a sangue freddo. Adesso devo andare, mi stanno chiamando...».
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