LIBRI
L’infanta di Ballarò tra l’accidia del presente e un passato quasi onirico
Santo Calavà è poeta e perdigiorno. Ma anche l’esperto d’arte che s’incontra smarrito nel tumultuoso flusso di coscienza sgorgato da una telefonata inattesa. Dalle parole notturne che di colpo sospendono gli incubi vissuti ad occhi spalancati nel buio ostile. Un motivo in più per riconsiderare l’eventualità mai rimossa di comporre i frammenti di un complesso discorso amoroso. Del quale un Calavà tuttavia degno dello Svevo più problematico è dapprima parsimonioso col lettore la cui tensione cresce col dipanarsi della vicenda che instrada il protagonista de “L’infanta di Ballarò” in una intrigante “recherche”. Ambientata tra l’accidia del presente e un passato quasi onirico dal quale non sono esclusi i favori e gli amplessi più o meno immaginari dell’età acerba. Perché i particolari che la telefonata gli ha rivelato mettono l’amabile esteta sulle tracce di una malavitosa primula rossa della sua giovanile Albergheria. Di uno che tratta con uguale vantaggio trippa di manzo e dipinti rubati e che appunto potrebbe fornire particolari essenziali su un molteplice e clamoroso furto d’arte.
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