ATTUALITÀ
In Sicilia si spende di meno, ma si rinuncia alla cultura
La spesa mensile delle famiglie in Sicilia è la più bassa d'Italia. I siciliani sacrificano sull'altare della crisi l'istruzione, gli svaghi per il tempo libero e l'abbigliamento
Dati recenti pubblicati dall'Istat indicano che le famiglie siciliane sono quelle che meno spendono per le esigenze familiari mensili: in media 1.579,82 euro contro gli oltre duemila della media nazionale. Sono molteplici le ragioni di questa differenza, che rispetto al nord registra il 33% in meno.
In parte, il divario è spiegato dal fatto che i salari medi della Sicilia sono più bassi rispetto a quelli settentrionali, mentre dall'altra parte, c'è il fatto che il costo della vita nelle regioni meridionali è più basso rispetto al centro e nord Italia.
Le differenze salariali ed economiche affondano le radici nel passato storico preunitario, caratterizzato da un nord industrializzato e moderno trainato dell'economia europea e da un sud culturalmente ricco, ma legato a logiche di tipo agrario e feudale che al momento dell'unità hanno prodotto e perpetrato quella disuguaglianza che, in modo diverso e attuale, sono tutt'oggi riscontrabili.
D'altra parte, è un fatto assodato che i beni di consumo come generi alimentari, affitti e servizi abbiano un costo mediamente inferiore rispetto alle regioni settentrionali, per cui la gestione familiare comporta inevitabilmente una spesa più bassa.
Tuttavia, scorrendo i dati dell'Istat è interessante notare che i tagli più significativi operati dai siciliani riguardano l'istruzione, il tempo libero e la cultura, oltre che l'abbigliamento. Ma se da una parte in tempo di crisi lo sport, la musica, il teatro e lo svago in genere possono essere considerati superflui e sacrificabili, rendendo comprensibile il fatto che nelle isole la spesa media per attività di questo genere sia la metà rispetto alla media nazionale.
Ciononostante, è sconsolante rilevare che in un paese come l'Italia e una regione come la Sicilia, ricche di un passato artistico e culturale inestimabile riconosciuto a livello mondiale, si preferisca rinunciare alla cultura invece che a beni materiali probabilmente più popolari, ma certamente meno significativi per benessere il psicologico, fisico e sociale dell'individuo.
Per certi versi più comprensibile, invece, la scelta di non investire nell'istruzione e nella formazione, dato l'esercito di giovani diplomati, laureati e specializzati che si ritrova da anni alla ricerca infruttuosa di un lavoro che non si trova e che se arriva porta comunque guadagni, possibilità di crescita e gratificazioni professionali inferiori rispetto ai corrispettivi settentrionali ed europei.
Tutto sommato, se è vero che "non c'è sviluppo senza cultura", forse, ognuno di noi dovrebbe nel proprio piccolo riconsiderare le priorità quotidiane e investire sulla crescita, la conoscenza e così in un futuro migliore.
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