CINEMA E TV
“In my country”, qualche speranza ancora c’è
Se da una parte lo spettatore rimane stordito dalle violenze compiute dai bianchi, dall’altra quello che cresce è l'ammirazione per la popolazione del Sudafrica
In my country
Regno Unito, Sud Africa 2003
Di John Boorman
Con Samuel L. Jackson, Juliette Binoche, Brendan Gleeson
In un momento difficile come quello che stiamo vivendo oggi sempre più invischiati in guerre quasi “sante” (le crociate non finiscono mai), di “liberazione” (definibili semplicemente di occupazione), missioni di pace che celano invece un atto di grave incostituzionalità (in base alla sua Costituzione l’Italia non può dichiarare guerra a nessun paese), il bel film di John Boorman “In my country” consente una profonda riflessione sulla lezione di grande umanità che un popolo così profondamente colpito, il popolo degli africani del sud, riesce a darci, una lezione sul perdono. Il film, ambientato in Sudafrica nel dopo Apartheid ai tempi delle udienze della Commissione per la verità e la riconciliazione, racconta e degli orrori lì confessati e, in quel drammatico contesto, dell’incontro di due giornalisti, uno del Washington Post, afroamericano ben consapevole del perdurare ancora del razzismo in America e nel mondo, interpretato da S. Jackson, mandato lì dal suo editore per rintracciare il più famoso torturatore della polizia Afrikaner, il colonnello De Jageer, l’altra una poetessa Afrikaner (J. Binoche) che segue quelle confessioni terribili per conto di una radio.
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