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"A history of violence", la forza dei pazienti

  • 28 dicembre 2005

A history of violence
U.S.A., 2005
Di David Cronenberg
Con Viggo Mortensen, Maria Bello, Ashton Holmes, Heidi Hayes, Ed Harris, William Hurt

Se un vero cineasta decide di ispirarsi ad un buon fumetto il risultato premia entrambi i testi. Se poi il regista in questione è David Cronenberg, uno dei più acuti ed originali filmaker contemporanei, non è difficile gridare al capolavoro. Che l’autore sia fondamentale lo abbiamo capito recentemente guardando “Sin City”: il complice di Tarantino, Robert Rodriguez, ispirandosi ai fumetti di Frank Miller, ha confezionato un pomposo e asfittico supervideoclip dove il grande assente era proprio il cinema. Quella di Cronenberg è tutt’altra musica: il suo affascinante talento è stato capace, in altre occasioni, di descrivere metamorfosi impudiche, cul de sac fatali ed incubi interiori con abilità da grande umanista in grado di anticipare inquietudini collettive ed ansie post- apocalittiche. Come David Lynch, altro geniale autore di vertigini contemporanee, Cronenberg possiede il dono dell’ironia (pari a quella espressa, per altri versi, dai fratelli Coen) e una capacità speciale nel dirigere gli attori.

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Nell’ultima edizione di Cannes, il suo “A history of violence” è stato presentato in concorso. Tratto da una graphic novel di John Wagner e Vince Locke, il film è davvero un'inaudita storia di violenza, crudelmente erotica e angosciosamente devastante dove protagonista è (ancora una volta!) il corpo e le sue metamorfosi. Senza svelare più di tanto, diciamo che la vicenda del film è ambientata in un tranquillo paesino di provincia americana, Millbrook nell’Indiana, uno di quei luoghi che sembrano usciti da un western classico. Tom Stall (il bravissimo Viggo Mortensen) è un padre di famiglia che gestisce un caffè del posto: uomo pacato, si è sposato l’avvocatessa Edie (Maria Bello, bellezza che va assaporata a gradi!). La coppia ha due figli, la biondina Sarah (Heidi Hayes) e Jack (Ashton Holmes), ragazzino pazientemente impegnato a sopportare la violenza di un antipatico compagno di scuola pronto alla rissa. La serenità familiare si frantuma all’arrivo di due delinquenti pronti a seminare morte ovunque vadano, che d’improvviso irrompono nel locale del protagonista.

Tom reagisce, spara e uccide i due trasformandosi in una specie di eroe di provincia. Ma la sua improvvisa notorietà, amplificata dai media, non gli giova: un bel giorno gli si presenta davanti un gangster dall’occhio di vetro, Carl Fogarty (Ed Harris), che afferma di conoscerlo molto bene e che gli rivela il suo vero nome, Joey Cusack. Stop! Basti dire che “A history of violence” non è né un noir tradizionale, né un thriller né un melò, ma un po’ tutte queste cose insieme. Cronenberg lavora i generi fino allo spasimo ed ama le implosioni più che le esplosioni. Raffinato a tagliente, questo gioiello cinematografico ha la stessa densità e ieraticità di “Una storia vera” di Lynch. Lo scenario di smarrimento e sconfinamento è lo stesso di quel film, mentre l’elaborazione psicologica e il racconto della violenza reale, che nasce da rimozioni interiori e sociali, rimanda a “Cane di paglia” di Peckinpah.

Con piena libertà creativa Cronenberg ci offre con questo film su commissione, sceneggiato da Josh Olson e derivato dal fumetto già citato, un esempio di stile. Realismo e iperrealismo sapientemente miscelati, gusto drammaturgico alto, tensione narrativa esemplare, movimenti di macchina essenziali. Un film complesso e pieno di sottigliezze che procede classicamente, fin dalle prime scene, dal racconto della smisurata capacità di sopportazione del giovanissimo figlio del protagonista, e che ci conduce all’esemplare sequenza finale dove il cerchio sembra chiudersi, almeno all’apparenza. Già, l’apparenza: quella a cui Cronenberg non sembra credere più di tanto, metafora dell’Altro e del Doppio sempre incombenti a dirci del gioco perverso di tutte le nostre identità. Come in “Spider” e “Inseparabili”, il mondo viene visto da Cronenberg come una specie di rappresentazione crudele, come specchio del comune (e forse definitivo) nostro male di vivere.

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