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La sorpresa che non ti aspetti passeggiando: a Palermo una chiesa incanta gli occhi

Dai colori scelti da indossare all'armonia dei suoi capelli lunghi e ricci: ogni cosa, a Palermo, è espressione di arte e di bellezza da scoprire anche solo passeggiando

  • 17 settembre 2020

Chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermo

“La sorpresa di una piccola oasi di pace, di un Eden nel cuore della città. E oltre la sua recinzione, il caos cittadino che non lascia tregua ai pensieri”.

È così che ricordo quella giornata in cui, svestiti gli abiti da studentessa universitaria, mi addentrai nel cuore di Ballarò con un'amica che studiava arte e di arte viveva.

Dai colori scelti da indossare all'armonia dei suoi capelli lunghi e ricci: ogni cosa, in lei, era espressione di arte e di bellezza. Spinta da questa passione, in dei giorni caldi di aprile mi invitò a scoprire un'altra Palermo.

Non quella fatta di aule universitarie, di biblioteche, di sale mensa e di viali intasati da autobus, scooter e auto (tante auto). Mi accompagnò fuori da quegli ingorghi, alla ricerca delle bellezze nascoste negli angoli – per me – più impensabili.

Non vidi, in quei giorni di primavera, la Palermo del caos. Ma quella fatta di tante lingue e tante culture che non si erano sovrapposte ma intrecciate – armonicamente.
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Di quella Palermo mi parlava mentre passeggiavamo tra bancarelle di Ballarò cariche di frutta e verdura fresca, tra il vocio dei commercianti e sotto quelle tende dai colori vivaci, mai uguali, a tratti spenti dal bruciare del sole (ma che pur sempre rimanevano pennellate variopinte sotto un cielo azzurro e limpido).

Di quella Palermo mi parlava quando arrivammo lì, a pochi passi, la chiesa San Giovanni degli Eremiti. Lì c'è una chiesa? Le chiesi, non capendo bene dove fosse. Lei mi invitava ad attraversare la strada e ad andare oltre quel varco che, dalle strade caotiche, ci avrebbe portate in un piccolo Eden.

Furono sufficienti pochi passi per essere inebriata dalle mille tonalità di verde che ci avvolsero, quasi rapirono. Guardavo con stupore quella intensa vegetazione che – in pochi metri quadrati di suolo – riusciva a imporsi, a diramarsi ovunque, ad alzarsi verso il cielo.

Lei studiava arte e mi raccontava, accompagnandomi verso l'edificio, di quelle piscine che una volta erano piene d'acqua azzurra. E insieme camminammo, intrecciando i nostri passi, in quel chiostro pieno di colonne. E alzando lo sguardo, oltre quelle colonne, ci sentimmo sovrastare dalla rotondità perfetta di una cupola rossa, la più alta tra tutte.

E poi le palme, la storia di un fiume che scorre sotto quel luogo e un pozzo, che pare comunicare ancora con il sottosuolo. E i colori dei fiori, e i rami degli alberi che adesso vivono lì dove – chi entrava – redimeva i propri piedi.

Oggi, a circa sette anni di distanza da quella giornata, ricordo quel luogo come un varco tra terra e cielo, tra la quotidianità affannata e la pace della quiete.

Provo a immaginarmi ancora lì, per un attimo, ed è subito un profumo di natura ad avvolgermi.

Posso aver attraversato tanti parchi, in altre città lontane dalla Sicilia. Posso aver visitato tante chiese, cortili, chiostri, e posso aver visto tante palme – le ho viste anche davanti il Duomo di Milano, pensa te, in Lombardia!

Ma quell'esplorazione rapì e coinvolse tutti i miei sensi. Mi piace immaginare che sì, quella porta di ingresso altro non è che un varco, come quelli che attraversa Dylan Dog: varchi che portano da un mondo all'altro, da una dimensione all'altra. Da cui puoi fare ritorno, certo.

Ma quando tornerai da quel varco, tutto ti sembrerà diverso.
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