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La primavera che non c'è: Palermo uggiosa in maggio ed è subito "tempo di Tonnina"

L’ultima calata di una tonnara a Palermo fu nel 1961 (nonostante i divieti): la storia della crudele mattanza tra "camere della morte" e patrimonio culturale

  • 17 maggio 2019

"La pesca del tonno" (1887), olio su tela di Antonino Leto (1844 – 1913)

Nei primi giorni di maggio, se la mattina piove i palermitani dicono che è "l’acqua del Santo Patri" (San Francesco di Paola, invocato per avere l’acqua nelle campagne). I marinai, di contro dicono che è "na matticata" (colpo di vento maestrale che favorisce la pesca del tonno): quindi è "tiempu i' tunnina" (tempo di tonnina).

Nel dialetto palermitano, la tonnina è la femmina del tonno: apprezzata perché maggiormente pregiata rispetto al maschio.

I tonni, provenienti dalla Scandinavia e dall’Islanda, all’approssimarsi della primavera (in teoria tra aprile e maggio) oltrepassavano lo Stretto di Gibilterra per dirigersi nelle acque calde della Sardegna e della Sicilia per deporre le uova. Questo tragitto si ripete da millenni (ne sono testimonianza le pitture rupestri dell’isola di Levanzo).

Furono i greci che intuirono l’importanza di questo alimento e inventarono la pesca con un metodo particolare, migliorato in seguito dagli arabi qualche secolo dopo.
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I tonni erano grossi e carichi di uova che deponevano sulle coste della Sicilia e Sardegna. La pesca del tonno, fu per secoli una fonte di guadagno per i popoli che abitavano sulle coste. Ancora oggi, il tonno del Mediterraneo è considerato il migliore al mondo. Il suo nome deriva dal latino "thunnus thynnus" (tonno rosso).

Nei tempi passati, nelle coste palermitane c’erano diverse tonnare: San Nicola l’Arena (Trabia), Solanto e di Sant’Elia, dell’Acqua dei Corsali (Corsari), di Sant’Erasmo, tonnara di San Giorgio, il Capicello, l’Arinella (Arenella), la Vergine Maria, Mondello, l’Isola delle Femine (Femmine), nelle bocche di Sferracavallo.

Già nel mese di aprile si calavano le reti e nel mese di giugno in un giorno si prendevano tra i 200 e i 300 pesci, a volte più, e i pesci pesavano da un cantaro (circa 80 kg.) a tre cantara (circ 240 kg). In una stagione si pescavano 6mila cantara (circa 474mila kg).

Il lavoro dei tonnaroti iniziava quindi ad aprile: "calavano" in mare una serie di reti che raggiungevano anche i 4 o 5 km e formavano varie "camere". In seguito, inducevano i tonni ad addentrarsi sempre più nelle maglie interne fino ad arrivare alla cosiddetta "camera della morte".

Nel mese di maggio dalle tonnare partivano le barche e i marinai, agli ordini del "rais" partecipavano alla mattanza, cioè l’accerchiamento delle reti dell'ultima camera (della morte), e tiravano a poco a poco sulle barche i lembi esterni delle reti finché affioravano i tonni, che venivano issati sulle barche con degli arpioni che causavano la perdita del sangue dei pesci. Quel tratto del mare si tingeva di colore rosso.

L’ultima calata di una tonnara palermitana avvenne nel 1961. Fu la principessa Stefanina Gangi Mantegna di San Vincenzo che la organizzò nella sua tonnara di Solanto.

A nulla valsero i divieti ed i provvedimenti per impedire tale operazione, si disposero anche barche armate al fine di impedirglielo. La Tonnara fu calata ugualmente per ordine della principessa, non tanto per il guadagno (le ultime annate 1960 e 61 erano stati pescati rispettivamente 34 e 29 tonni) ma per non disperdere quel patrimonio culturale.

La chiusura della tonnara rappresentò il tramonto di un’epoca e di una generazione legata ai ricordi dell’infanzia, le spese dell’impianto avevano alti costi perciò fu l’ultima "levata".

A causa del prezzo esiguo un tempo il tonno era denominato la carne dei poveri. Nel periodo di maggiore abbondanza, il pescivendolo "abbannìa" (richiamava gli acquirenti) con la tipica declamazione: Scalò a tunnina! ("si è abbassato il prezzo della tonnina")-

Esistono diversi modi di cucinarla: "ammuttunata" al ragù, in agrodolce con la cipollata, a polpette e tanti, tanti altri.

Le tonnare rappresentano un pezzo di storia e di tradizione siciliana: raccontano la povertà e le fatiche dei pescatori, la loro vita divisa tra mare e terra, sia nei giorni assolati d’estate, sia dei giorni freddi d’inverno.

Tuttavia bisogna riconoscere che era un tipo di pesca molto crudele, figlia di un tempo in cui non si aveva alcun rispetto per gli animali.
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