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In atelier con Simone Geraci: un "artigiano della modernità" prestato alla pittura sensuale

Difficile non rimanere affascinati dalle silhouette ritagliate dall'immaginario poetico dell'artista palermitano tra quei blu, viola e rosa che sembrano animare parallele realtà

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 30 giugno 2021

L'artista palermitano Simone Geraci

È difficile non rimanere affascinati dalle silhouette ritagliate dall'immaginario poetico di Simone Geraci, tra quei blu, viola e rosa che sembrano animare parallele realtà equamente divise tra sensualità e gioco in costante dialogo con l'armoniosa cifra stilistica che l'artista palermitano ha sapientemente costruito con faticoso lavoro di bottega.

Nato a Palermo nel 1985, si laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti del capoluogo siciliano nel 2012 con la specializzazione in Incisione, allievo di Giovanni Bonanno, Gianna Di Piazza, Sergio Sarra, Marco Cingolani, Nino Giafaglione e Sergio Pio Amato.

È l'autore con il suo suggestivo chiaroscurato Giano Bifronte della copertina dell'ultima edizione 2020 della Marina di Libri diretta da Nicola Bravo e dal 2015 è direttore artistico per "Le città di carta" della casa editrice Il Palindromo.

Se la sua pittura rappresenta il punto d'arrivo momentaneo di una ricerca lunga e meditata e costantemente in divenire, non c’è dubbio che l'anima delle sue creazioni sia tenacemente ancorata al valore universale del disegno in quanto medium di indagine e verifica, sostanza stessa della garanzia del risultato finale.
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Da circa un anno, condivide presso Spazio 26, lo studio con Max Ferrigno e Dalila Belato nel ventre di un elegante palazzo Liberty in via Nicolò Garzilli, nell'area dell’ex Firriato di Villafranca al centro della città storica belle époque, all'interno di una cornice pienamente floreale che, pur nella distanza naturale dal suo linguaggio artistico, ne arricchisce sicuramente il pathos produttivo.

Quattordici fiori stilizzati governano infatti il perimetro della volta ribassata di probabile scuola gregoriettiana, spettatrice silente della ricerca puntuale e ritmata di questo giovane "artigiano della modernità" prestato alla pittura, che dipinge su lastra di ardesia volti e corpi femminili letteralmente imprigionati su piani monocromi, pronti a sedurci e avidi di attenzioni.

Si respira aria di laboratorio in questo spazio governato da colori e cavalletti, tele appese alle pareti e tutto il necessario per l'attività di incisore in cui Geraci ha costruito il delicato equilibrio che sottende la propria ricerca artistica in continuo dinamismo.

Dopo le due personali di Torino (2016 e 2020) alla Galleria BUG, ancora alla Galleria QUAM di Scicli (echos 2019 a cura di Cristina Costanzo), sarà presente a breve a Domodossola alla collettiva promossa dalla Fondazione Poscio in attesa della personale alla Galleria Curva Pura di Roma prevista per il giugno 2022.

Artista riservato e volutamente distante dalle distrazioni del ronzio della città rumorosa, Geraci intesse un rapporto professionale e serio con collezionisti e galleristi a cui affida idealmente frammenti di suggestiva bellezza di cui cura persino la costruzione di minimali cornici lignee.

Pienamente cosciente del potenziale del web in termini di indispensabile marketing autopromozionale, svolge un’intensa attività sulle diverse piattaforme social tra cui Instagram a cui affida una costellazione di personali immagini quasi a costruire un ideale diario d'artista virtuale ed in costante rapporto con il suo sito web immediato e minimale.

Nel panorama artistico palermitano, Geraci ha saputo ritagliare lo spazio adatto alla propria poetica figurativa fatta di ricerca misurata e di faticoso lavoro, animata da un profondo e radicato ideale di bellezza seduttiva, ben consapevole della fiducia da assegnare al rito assolutamente contemporaneo che si rinnova ad ogni esposizione/esibizione.

Questo il suo messaggio di buon auspicio che Geraci invia ai lettori di Balarm.

«Questi tempi strani, drammatici e incerti hanno inevitabilmente segnato il mio percorso artistico e umano - spiega -, cedendo alle intemperie del quotidiano ho avuto modo di modificare non tanto il lessico e la struttura della mia ricerca bensì l'atteggiamento verso la pratica del dipingere.

Un procedere per lentezza. Un omaggio al raccoglimento, forzato nei primi mesi di pandemia, declinato nelle flebili gestualità delle mie figure in cui le superfici pittoriche o determinate dal supporto utilizzato, esasperano il senso di straniamento e di horror vacui.

Un atteggiamento umano e professionale che spero di non perdere, convinto del fatto che questa era pandemica debba spingerci, non tanto al recupero delle vecchie abitudini, ma sostenere una rigenerazione del nostro approccio alla quotidianità».
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