ITINERARI E LUOGHI
Il borgo (magico) nascosto vicino a Palermo: tour tra gli angoli sperduti della "Kuntisa"
Un percorso ricco di curve, nel secondo superato il centro cittadino di Sambuca di Sicilia, porta dritti in questi luoghi grazie a una strada panoramica. Ecco dov'è
Contessa Entellina
Il comune del palermitano, insieme a Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela, rappresentano i comuni con la maggior influenza arbereshe (albanese) in Sicilia.
Un luogo isolato che è possibile raggiungere dal versante trapanese, agrigentino e palermitano (SS 624). Se nel primo caso bisogna affrontare un percorso ricco di curve, nel secondo - superato il centro cittadino di Sambuca di Sicilia, porta dritti a Contessa grazie a una strada panoramica. È un borgo incantevole e pittoresco, adagiato su un declivio collinare (Brinjat).
Una storia, quella contessiota, lunga e ricca di colpi di scena. Nel Trecento il duca di Atene e Neopatria Guglielmo lasciò il casale Contessa al fratello Giovanni, marchese di Randazzo.
Tra lasciti e spartizioni si giunse sino al 1522 con la riedificazione del casale. Nel frattempo, a partire dal 1450, il territorio si popolò di una colonia proveniente dall’Albania.
Grazie all’eroe nazionale albanese Skanderberg - di religione cristiana - il popolo albanese ricevette il benestare del Papa per conservare il rito greco-bizantino.
Dopo l’Unità d’Italia, al nome Contessa fu aggiunta anche Entellina per la presenza della rocca dove sorgeva l’antica città.
Un flusso migratorio si ebbe a partire dal 1968 - dopo il terremoto - con la chiusura di alcune chiese al culto e l'inagibilità di diverse strutture. Molti abitanti si trasferirono nella parte della "Fusha Kavalari".
L’impianto storico è quello che condiziona l’intera visita e si incastra alla perfezione con l’ambiente circostante. Il territorio, abbastanza ampio, è ricco di sfumature ambientali, archeologiche e nobiliari.
In passato, durante la stesura di vari articoli, il richiamo alla Rocca Entella con il sito archeologico, all’Abbazia di Santa Maria del Bosco ubicata nella Riserva di Monte Genuardo e il Castello di Calatamauro con i suoi splendidi scenari, erano già stati oggetto di studi approfonditi.
In un complesso (territoriale) abbastanza ricco, il paese "può sembrare scarno" di emozioni. Invece, al contrario e netto di valutazioni affrettate, sin dalle prime battute, una volta "osservata" la collocazione, si intuisce e percepisce qualcosa di diverso. Si entra nella più antica presenza albanese in "terra sicula".
Un legame acquisito (dagli abitanti) sin dalla tenera età dove, oltre a usi e costumi, la conoscenza della doppia lingua è una consuetudine. Si avverte la differenza con le abitudini italiane.
Dagli angoli sperduti si intravedono delle greggi pascolare nelle distese verdi. Le stesse, adibite a coltivazioni di uliveti, frutteti e vigneti, rappresentano il settore di maggiore interesse e sviluppo per l’economia locale.
I passi, lenti, non seguono un preciso itinerario. Improvvisamente "spunta" una piazzuola (il centro storico) dalle dimensioni ridotte. Il municipio è nascosto in una stradina senza uscita, mentre un monumento con relativo edificio architettonico (chiesa) rappresenta il primo obiettivo raggiunto.
In poche centinaia di metri è possibile visitare (in alcuni casi solo le facciate esterne) le chiese delle Anime Sante (Shpirtrat e Shejt), di Maria dell’Itria od Odigitria (Meria e Dhitrjes), San Rocco (Shen Rroku) dotata d’iconostasi e di un bellissimo organo a canne settecentesco e Sant’Antonio Abate (Shen Gjoni i Math), dove vengono celebrate le Divine Liturgie secondo il rito (greco-bizantino). Senza dimenticare gli edifici religiosi ubicati nelle vicine frazioni.
La passeggiata è arricchita da piccole immagini (religiose) sui muri. Un rapporto, quello con la religione, di forte identità.
Gli attenti lettori potrebbero risentire della "carrellata" perché manca la Chiesa Madre e San Nicolò di Mira (Klisha e Shen Kollit). Non è un errore, solo una scelta. Merita la giusta considerazione.
Giunti alla parte "più antica” del paese, icone, iconostasi, mosaici e paramenti sacri ortodossi in stile architettonico orientale tolgono il fiato ai curiosi.
Edificata e completata nel 1520 da parte dei primi esuli arbereshe, è il luogo dove la massa di fedeli si concentra. È costituita da tre navate con cappelle laterali contenenti quadri di valore artistico (natività di Sant’Anna di Olivio Sozzi).
La navata centrale termina con il Santuario (Vima). Sono presenti un paio di opere (mosaici) del maestro albanese Josif Droboniku. Durante i lavori (navata destra) di restauro avvenuti negli anni Ottanta fu rinvenuta una costruzione sottostante. Si presume (?) appartenesse a una cappella precedente (Annunziata).
Le funzioni sono svolte dai papas. Sono i preti che, ancor prima di prendere i voti sacerdotali, possono sposarsi e avere dei figli (riconosciuti dal Vaticano). A circa 30 metri si arriva allo "Spiazzo Greco".
È il cuore nevralgico dell’antica Contessa. Anima e corpo rallentano la corsa trascinati dagli intensi sapori provenienti dalle case. Se fossero i bucatini con la mollica? O magari la frogia, un dolce tipico del luogo? Vale la pena dimenticare la visita e gustare la carne accompagnata da un buon bicchiere di vino delle Tenute di Donnafugata.
Da alcuni anni Contessa Entellina è entrata a far parte dei 500 comuni dell’Associazione Nazionale "Città del Vino". È doveroso spendere due parole sul museo Antiquarium "Giuseppe Nenci".
Al suo interno si trovano i numerosi reperti estratti dalle campagne di scavi effettuati tra Rocca Entella e il Castello di Calatamauro. Un complesso di notevole caratura ancor oggi poco valorizzato.
Il borgo - nascosto tra le campagne sperdute del palermitano - merita una visita tra aneddoti, proverbi (ricordate all’inizio?) e la gentilezza degli abitanti contessioti.
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