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Forse non sai che Palermo è inclusiva: chi è il primo studente trans riconosciuto da Unipa

Gabriel studia Scienze Pedagogiche alla magistrale. È il primo ragazzo trans ad aver attivato la carriera alias, messa a disposizione dall'ateneo nel 2018, la sua storia

  • 21 giugno 2024

Gabriel Mineo

«Il mio corpo è questo, non è sbagliato. È la mia casa e come tale va trattata: con l'amore che merita».

Ventisei anni, Gabriel Mineo è il primo ragazzo trans ad aver attivato la carriera alias, messa a disposizione dall'Università degli Studi di Palermo.

La carriera alias disponibile dal 2018, consente agli studenti dell'ateneo che hanno affrontato un percorso di affermazione di genere di svolgere esami e pratiche burocratiche con il nome di elezione, cioè il nome che hanno scelto di attribuirsi dopo aver capito la propria identità di genere.

Gabriel scopre la sua vera identità da piccolo: «A tre anni - racconta a Balarm in un'intervista video - sentivo dentro di me un'energia che non corrispondeva all'essere una bambina. Più crescevo, più questa cosa veniva fuori».

La prova del nove durante una recita scolastica, grazie al teatro: «Mi sono ritrovato a vestire i panni di un uomo, un giornalista - spiega - Dovevo utilizzare necessariamente i pronomi maschili e indossare capi di abbigliamento da uomo. Mi chiedevo: "Ma com'è che non mi fa strano anzi mi fa sentire bene?"».
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Era il 2010, aveva 13 anni: «In quegli anni si parlava poco di transizione - ricorda - e se lo si faceva, in maniera negativa, era molto difficile informarsi».

Facendo un po' di ricerche online, Gabriel trova un canale youtube in cui i ragazzi trans raccontano le loro esperienze: «Ascoltavo le storie di chi aveva affrontato percorsi di affermazione di genere (ndr volgarmente chiamato "cambio sesso") e mi ci rivedevo molto, così ho capito che era la strada che dovevo percorrere».

Il primo coming out lo fa con sua mamma. «Le ho scritto una lettera perché scrivere è il modo migliore che conosco per comunicare - sorride - Lei l'ha presa molto bene, poi l'abbiamo detto a mia sorella, e dopo ancora a mio papà. Mi hanno sempre supportato, tutti. Se sono all'università è grazie a loro, non è per nulla scontato».

Al liceo la sua diversità lo porta nel mirino dei bulli: «Ero ammasculato - racconta - mi fasciavo i seni, avevo il taglio corto, indossavo magliette e jeans larghi. Essere "la ragazza che voleva fare il maschio", diversa, creava risolini e prese in giro».

Poi l'ingresso all'università, una nuova aria, più matura e (quindi) inclusiva. «L'università è stato uno dei periodi più importanti della mia vita - racconta - Il primo anno l'ho fatto senza carriera alias perché ancora non esisteva. È stato abbastanza travagliato: avevo appena iniziato a prendere gli ormoni, la voce si faceva bassa e spuntavano i primi peletti».

Per sopperire al problema del nome anagrafico ognuno trova la proprie strategie: «Io mandavo una mail dove davo spiegazioni o mi presentavo con il docente prima, così mi vedeva in faccia e sapeva come giostrare la situazione».

L'alias viene introdotta proprio come misura di contrasto all'abbandono accademico delle persone trans. «Molti ragazzi non si iscrivono all'università per paura di subire discriminazioni - spiega Gabriel - Fare coming out non è semplice, trovarsi costretto a farlo a causa di un appello, prima di un esame, è destabilizzante».

Per chi sta affrontando una transizione, e non ha ancora cambiato il nome all'anagrafe, l'alias diventa una tutela.

Oggi Gabriel studia Scienze Pedagogiche alla magistrale. Nell'essere "normale" la sua è una storia eccezionale, perché si discosta dalla narrazione ricorrente che vede la persona trans - troppo spesso - vittima del contesto in cui vive.

«Essere transgender non è un fattore di rischio - spiega Gabriel - è il luogo in cui vivi che lo rende tale». E lui si sente fortunato: «Ho avuto il privilegio di trovare sempre supporto dalla mia famiglia. Palermo è una città arcobaleno, inclusiva - racconta - La diversità è dentro il sangue siciliano, forse perché siamo stati dominati per millenni e siamo tutti miscelati».

Tra i professori, c'è chi scoprendo la sua storia decide di coinvolgerlo in una lezione: «Ho avuto la fortuna di incontrare docenti inclusivi - spiega Gabriel - non discriminanti, è anche bello pensare all'università come un posto in cui trovare alleati non solamente da un punto di vista lavorativo ma anche umano.

Mi è capitato di fare coming out con un docente che si occupava di disforia di genere nell'infanzia - continua - mi ha chiesto se mi andava di raccontare la mia storia a lezione e mi sono ritrovato al mio terzo anno di università a fare coming out davanti a 300 persone».

E dire che sei una persona trans davanti a un'intera classe universitaria ha un impatto emotivo forte. «È stato molto bello - ricorda - da un lato mi ha dato l'opportunità di parlare con i miei colleghi, in un ambiente sicuro perché c'era la supervisione di un docente, dall'altro mi ha fatto sentire vivo, mi sono reso conto che "sono trans" è una cosa che posso dire anche davanti a 300 persone».

Gabriel racconta la sua storia ai ragazzi del corso ormai da quattro anni per sensibilizzare sui temi della comunità transgender. Fare coming out non sempre è facile: «Dura tutta la vita - spiega - quando una persona decide di farlo è un regalo: io ti do una parte di me che è una parte preziosa, intima, mia, e se ti faccio questo regalo, mi aspetto che tu sappia averne cura».

Dai 15 ai 18 Gabriel segue un percorso di psicoterapia. Dopo la relazione terapeutica che ne accerta la disforia, accede alla terapia farmacologica. «Dal 2017 seguo un piano terapeutico ormonale sostitutivo - spiega - di testosterone, che farò per tutta la vita».

Non ha ancora fatto l'isterectomia (ndr l'asportazione dell'utero) ha rimosso invece il seno: «Nel mio caso la disforia era legata al seno - spiega - nella mia storia personale questa parte del corpo è espressione di un femminile che non mi rispecchia, quindi l'ho tolto.

Nonostante a livello sociale possano avere un grande significato di femminilità anche utero e ovaie in questo momento non mi interessa rimuoverle».

Il passaggio da uno stato all'altro è un lutto: «Anche cambiare documenti, fare il cambio nome all'anagrafe - spiega - segnano la fine di una parte di me, che rimane sempre lì come qualcosa che sono stato e che si è evoluto in meglio».

Avere a che fare con la disforia di genere è un percorso tortuoso, così come dover affrontare - spesso in solitudine - le potenziali reazioni negative di chi ci circonda, proprio per questo motivo spesso le persone trans sono la prima categoria per suicidi tra gli adolescenti.

«Essere transgender significa essere persone normali come tutte le altre - spiega Gabriel - chissà quante persone trans conoscete e non lo sapete. Le incontrate in metro, negli studi dei dottori, all'università. È importante raccontare le vite "normali" di chi ce l'ha fatta.

Ma è ancora più importante ricordare che la fortuna e i privilegi non possono sostituirsi ai diritti e alle politiche sociali!».
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