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È bella, ricca, romana e la trovi in Sicilia: alla Scala dei Turchi rinasce la Villa di Durrueli

Un lungo intervento di riqualificazione restituisce la bellezza e lo splendore di un'imponente villa romana in un contesto archeologico unico nel suo genere

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 3 giugno 2023

Villa romana di Durrueli a Realmonte (foto di Andrea Vanadia)

Dopo un lungo restauro, è stata restituita alla comunità e ai visitatori la bella, ricca e decorata Domus romana di Durrueli, presso Realmonte.

La nobile famiglia della prima età imperiale che realizzò questa Domus - unico esempio di villa marittima in tutta la Sicilia di età imperiale - non poteva scegliere località più suggestiva.

Una villa imponente con alle spalle le colline marnose della vicina e celebre Scala dei Turchi, presso la foce del fiume Cottone, nella baia tra Punta Piccola e Punta Grande, in riva al mare, con un bellissima vista sull’azzurro mare agrigentino.

Un lungo e complesso intervento di riqualificazione ne restituisce la bellezza e lo splendore in un contesto archeologico unico nel suo genere. Trovandosi tra l’altro a pochissimi chilometri dalla Valle dei Templi, diventa un polo attrattivo per l’intera zona, valido e leggero completamento alla visita dei templi akragantini.

La villa fu scoperta casualmente nel dicembre del 1907, durante i lavori di costruzione della linea ferroviaria che collegava Porto Empedocle a Siculiana.
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È caratterizzata da un peristilio a colonne, con giardino all’esterno e cortile con una vasca per la raccolta dell’acqua piovana e i vari ambienti domestici, tra cortili colonnati, pavimenti musivi e strutture termali costruite in riva al mare.

Alcuni di questi ambienti sono pavimentati a mosaico in bianco e nero, scoperti dall’archeologo Antonio Salinas nel 1908; altri sono pavimentati sono in marmo policromo intarsiato, lavoro di particolare valore tecnico ed artistico.

Suggestivi inoltre i mosaici policromi che rappresentano scene e divinità marine, come quella di Poseidone sull’ippocampo e del Tritone trainato su un cocchio da due mostri marini ed "il mosaico del delfino".

Le più recenti indagini hanno rivelato «che gli ambienti individuati all’inizio del secolo, erano disposti intorno a una corte scoperta a pianta quadrangolare che circondava il giardino interno, sul quale si affaccia con un peristilio di cinque colonne di pietra arenaria su ciascun lato.

I resti di intonaco ancora visibili confermano che le colonne erano dipinte in rosso nella parte inferiore, e sormontate da un muro dipinto in nero.

Nel tablinum, la sala di rappresentanza del dominus, ci sono ancora i resti di imponenti mosaici, così come nelle camere da letto con il cubiculum, e soprattutto nel triclinium (la sala da pranzo). La villa doveva essere immensa, altri ambienti degradano verso il mare, protetti da un terrazzamento».

Ad impreziosire la Villa Romana vi sono poi le terme, meravigliosamente decorate: un impianto diviso in due nuclei (per uomini e per donne) con al centro una grande cisterna che garantiva il necessario rifornimento idrico a entrambi i bagni.

Grazie alla scoperta di monogrammi rinvenuti in alcune tegole è stata attribuita a Publius Annius, imprenditore dello zolfo, importante esponente di una gens presente ad Agrigento nei primi secoli dell’impero.

Quali erano le caratteristiche di simili ville romane? Come era organizzata l’attività economica e come di viveva in esse? La ricerca storica ci fornisce molte risposte.

Erano essenziali un fattore, una fattoressa, almeno una decina di braccianti, un aratore, un asinaio, guardiano per gli animali, secondo il De re rustica, il manuale di agricoltura scritto da Catone nel secondo secolo a.C., manodopera di schiavi per un'unità economica orientata verso il mercato: vino e olio erano i prodotti più redditizi della zona in cui è insediata la villa di Realmonte.

Se era al centro di un vasto territorio, il proprietario poteva affittare a coloni dei lotti annessi alla villa in cambio di un canone in denaro, dando loro anche la possibilità di utilizzare alcune strutture presenti sulla villa, come il forno e il mulino, si potevano rendere disponibili nei periodi dell'anno in cui era necessario l'impiego di manodopera supplementare, per esempio nella stagione della vendemmia.

Precise norme giuridiche stabilivano che i territori annessi dai Romani in seguito alle conquista venivano ridotti alla condizione di ager publicus, cioè diventavano proprietà dello stato e una buona parte veniva concessa dal Senato ai patrizi sotto forma di possesso.

Riteniamo che ciò sia accaduto anche a Realmonte per un’azienda di media grandezza dove si praticavano colture specializzate, il cui successo era favorito dalla fertilità del suolo e la mitezza del clima, ma anche la vicinanza a vie di comunicazione e dal vicinissimo mare rendeva facile il trasporto dei "Dal trattato di Catone" si apprende anche che il complesso di edifici — la villa vera e propria — era diviso in due parti: la villa rustica e la villa urbana.

La prima comprendeva gli alloggi degli schiavi, i locali per i torchi, i magazzini per gli attrezzi da lavoro e gli altri servizi connessi all'attività produttiva.

La seconda era la residenza padronale, che secondo Catone doveva esser molto accogliente, in modo che il proprietario fosse invogliato a soggiornarvi, per poter svolgere sul posto le sue funzioni «manageriali»: vigilare sul bilanciamento delle entrate e delle uscite, sulla distribuzione delle colture e via dicendo.

«Vendere molto e comprare poco» è il motto di Catone, Nel De re rustica si danno persino indicazioni sullo sfruttamento degli schiavi: ridurre le razioni alimentari nei periodi di malattia, aggirare i divieti di lavoro nei giorni di festività religiosa e così via. Lo sviluppo economico e la maggior diffusione dell'uso della moneta diedero impulso alla tendenza dei proprietari a procurarsi una rendita sotto forma di canoni in denaro.

In genere per visitare i confini di una villa del I secolo d.C., come questa di Realmonte, poteva non bastare una sola giornata a cavallo, mentre gli schiavi che vi lavoravano non erano più poche unità, ma erano ormai organizzati in squadre di decine, le decurie.

Invalse in questo periodo l'uso di affittare ai coloni lotti di terra adiacenti alla villa e ciò permetteva di superare l'inconveniente di reperire manodopera stagionale, alleggerendo i costi della manodopera fissa.

In questo periodo sorse anche la figura del servus quasi colonus, uno schiavo promosso alla dignità di colono su lotti indipendenti collocati all'interno della villa e nasce anche una complessa diversificazione di figure con vari ruoli che è preludio alla struttura agraria altomedievale, caratterizzata da una articolazione tra la pars dominica e i mansi servili.

Questo sito archeologico è da considerarsi di valore inestimabile, soprattutto dal punto di vista storico ed artistico.

La villa apre al pubblico dall'1 giugno, a ingresso gratuito.

Le visite guidate si svolgono ogni venerdì, una volta alla settimana, condotte dagli archeologi di CoopCulture (2, 9, 16, 23 e 30 giugno), con tre turni: dalle 10.00 alle 12.00 (per 25 persone a turno). Il ticket è di 5 euro.
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