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Dedicata a due "Rosalie" si affaccia sul mare blu: la Cappella delle Conchiglie in Sicilia

Un luogo magico che ha l'esatto, specifico profumo che il mare emana solo in quel punto. Qui fumi la prima sigaretta, nascono amori proibiti e fai la foto di nozze

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 30 marzo 2025

Cappella di Santa Rosalia a Trabia (foto di Carlo Rodolico)

Quando nel fine settimana da Palermo mi portavano a Trabia, da nonna Michelina, mi pareva un salto nel passato di almeno 50-60 anni. Che poi venivo da via Oreto Nuova, zona circonvallazione (capirai), non proprio il West Bund di Shangai in quanto a progresso e innovazione. Semmai, il corpus centrale dell’industria tecnologica ruotava attorno al furto dell’autoradio.

A Trabia no. A Trabia la gente lasciava ancora le porte aperte, si conoscevano tutti e si passava le giornate seduti di fronte le persiane, parlando con i vicini di casa, anche loro seduti di fronte le persiane, e condividendo la propria quotidianità. In un certo qual senso era Facebook prima di Facebook.

A’Trabbia, come la si chiama da queste parti, c’era il mare, le nespole, la Tonnara, le tre dita a tenaglia di nonna che mi spalancava la bocca per farmi "sucare" l’uovo fresco, c’era Santa Rosalia.

No, non la santa palermitana ma il posto. A Trabia Santa Rosalia è inequivocabilmente, senza alcun dubbio, fuori da ogni discussione, un luogo (magico), uno scorcio, l’esatto e specifico profumo che il mare emana solo e soltanto il quel punto.

Come la ciliegia candita sulle minne di vergine, in cima ad una caratteristica scalinata, in fondo a via Molara, ci sta una magnifica, quantomai fantasmagorica, cappelletta, o piccolo santuario dedicato alla Santuzza, interamente fatto di ciottoli di mare, pietre di grotta e conchiglie, che si affaccia sul mare blu.

È qui che i fedeli depongono gli ex-voto, ma è anche qui che si dà il primo bacio da ragazzini, che si fuma la prima sigaretta di nascosto, che nascono amori proibiti, che si scatta la foto per eccellenza da sposini.

Un gioco di contrasti, dolce-salato, notte-giorno, sogno-realtà, sacro-profano, che può coesistere solo perché, in realtà, le Rosalia di questa storia sono due: Rosalia, la santa a cui è dedicato il luogo, e Rosalia, la donna per cui è stato veramente concepito.

Dobbiamo fare però un piccolo salto indietro. È il 1875, sono appena iniziati i lavori del Teatro Massimo di Palermo e Salvatore Gurgiolo, che ha fatto i piccioli alla ‘Merica, fa ritorno a Trabia.

È il suo paese di nascita ma non di origine, perché in verità proviene da una famiglia di frescanti napoletani che Trabia ci sono arrivati per affrescare nientepopodimeno che il castello dei potenti Lanza Branciforti.

Gli stessi Lanza che tra i loro antenati hanno Maria Laura, alias la Baronessa di Carini, e tra i discendenti l’eccentrico principe Raimondo (a cui si ispirò Modugno per il Vecchio frack.

Quando può, Turiddo Gurgiolo, che intanto ha comprato nel paese un mulino e un pastificio, si concede una passiata a mare. Se la concede sia perché gli ricorda i tempi prima di andarsene, sia perché il mare di Trabia è diverso da quello ‘miricano, che, sì, è immenso e profondo ma è scialbo e vacante.

Lui non lo sa e probabilmente non se lo può neanche ricordare perché ancora era una solo picciridda, ma in quelle zone, quelle dove lui si fa queste passeggiate, ci bazzica Rosalia Rancadore.

Più che bazzicarci, in verità, ci sta di diritto perché il terreno di contrada Molara appartiene a lei, a suo fratello Gaetano, ma prima ancora a loro padre Ignazio.

È esuberante, istrionica, sfacciata, bella, Rosalia Rancadore, e Turiddo non appena la vede ci arresta sotto come investito da un treno. Diventa un pensiero fisso, se ne innamora follemente: ha tutti i pregi delle siciliane e tutti i pregi delle ‘miricane, tutti i difetti delle ‘miricane e tutti i difetti delle siciliane. La vuole a tutti costi.

Alt, è un bravo picciotto Gurgiolo, se la passa buono ed è diventato un buon partito. Ignazio Rancadore a fronte di questo non può che prenderne atto, gli tastìà il polso, gli fa quattro raccomandazioni, poi gli dà la mano di sua figlia. L’amore e ricambiato e non perdono tempo, soprattutto sotto le coperte (giustamente).

Stampano sei figli uno appresso all’altro: quattro masculi e due fimmini. U richiamo della Merica è forte nel sangue dei Gurgiolo, e cresciuti sani e forti i quattro masculi emigrano alla ricerca di fortuna.

Intanto, Rosalia si è fatta donna di mondo, è entrata nell’alta società, indossa abiti costosi e frequenta il Teatro Massimo di Palermo con suo fratello Gaetano. Turiddo invece è impegnato a gestire i primi acciacchi di una vita travagghiata e il teatro non gli piace.

O meglio, non lo sa se gli non piace; a lui gli abbasta combattere con gli altri teatrini: il mulino, il pastificio e gli operai. Un Giorno dalla ‘Merica gli arriva un telegramma: Ignazio, uno dei quattro figghi, ha fatto grande fortuna.

Una piccola parte di questa la invia a Trabia, giusto a lui, per garantirgli una vecchia tranquilla senza doversi riempire i polmoni di farina. Turiddo Gurgiolo accetta di buongrado, anche se non ne avrebbe di bisogno, e lascia le attività al suo destino.

Si gode il tempo libero, il tempo che gli è rimasto, il buon tempo inutile, proprio guardando il mare dall’appezzato di terreno di via Molara, ereditato dal suocero.

Si gode le albe, si gode ancor di più i tramonti, che per questioni anagrafiche gli assomigliano maggiormente. Ormai si sente più un tramonto che un’alba, un tramonto felice perché, a dispetto di tanti altri, lui almeno ha vissuto una vita appagante.

È proprio questo concetto a fargli venire la furnicìa della cappella. «Stu posto se lo devono godere tutti, chiddi che hanno e chiddi ca n’un hanno, chiddi che aspettano a qualcheduno e quelli ca non aspettano proprio a nuddu…».

Non solo volle donarlo a tutti, ma decise di costruirgli una cappella in onore della santa palermitana (sulla carta), ma allo stesso tempo anche di sua moglie Rosalia, che tanto aveva amato.

Pescatori, ex-pescatori, morti di fame e picciriddi, tutti trovarono di che mangiare raccogliendo pietre, ciottoli e conchiglie che furono poi utilizzate per metterla piedi bella e malinconica com’è. Era così che la sua mente - di Turiddo Gurgiolo - aveva visto quella cappella stampata nel tramonto: a mare, fatta di mare.

Ad oggi, sta ancora là e conserva la medesima funzione per la quale venne concepita. La gente continua a recarcisi, sola o in compagnia, affacciandosi sul mare blu.

Ancora oggi in quello scorcio ognuno ci cerca quello che gli serve: chi l’alba, chi il tramonto, chi la speranza per il futuro, chi semplicemente i ricordi del passato. Alcuni vogliono stare belli tranquilli e non vanno a cercare proprio nessuno, altri ci cercano i pesci. Io, ogni tanto, di nascosto, ci cerco papà.
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