STORIA E TRADIZIONI
Animali esotici e dove potevi trovarli (a Catania): Tony, l'elefantessa triste e altre storie
I catanesi si sono sempre vantati della loro Villa, "il più bel giardino d’Europa". E proprio a una moda europea si ispirava l’idea di creare un sofisticato giardino zoologico in città
L'elefantessa Tony con il signor Antonino Rizzo (foto di proprietà di Flavia Rizzo)
No, non c'è nessun errore, Tony era una femmina; è solo che ci troviamo in Sicilia dove il maschilismo sappiamo bene quanto sia radicato fin dai tempi più antichi e intanto il nome maschile glielo misero e anche quando si accorsero dell'errore pensarono bene di lasciarglielo.
Quando la sera i cancelli si chiudevano però, lei sprofondava ancora nella solitudine; per questo, una volta, Tony fuggì. Quel giorno, in tanti videro un elefante in carne e ossa passeggiare per Catania, qualcuno pensò a una magica burla di un nuovo alchimista, ricordando le storie su Eliodoro in fuga, proprio a cavallo di un elefante di pietra. Si trattava invece dell’elefante della Villa Bellini, attrazione prediletta dei più piccoli, che tentava di tornare al suo Circo: da quel giorno Tony, riaccompagnata suo malgrado al Giardino Pubblico, vi dimorò da sorvegliata speciale.
La malinconica Tony non era però l’unica ospite esotica della Villa Bellini. Per un paio di decenni, infatti, gli animali del Giardino furono l’orgoglio della città e il principale intrattenimento per i passeggiatori del suo centro storico. I catanesi si sono sempre vantati della loro “Villa”, la definivano addirittura “il più bel giardino d’Europa”; in effetti, proprio a una moda europea si ispirava l’idea di creare un sofisticato giardino zoologico in città. In alcune capitali, ancora oggi, i giardini zoologici sono situati in centro: a Berlino, o a Copenaghen, un gran numero di specie non autoctone animano i parchi urbani, e così tentava di fare anche Catania.
Il grande parco, dedicato allo straordinario compositore catanese Vincenzo Bellini, fu ricavato originariamente dall’annessione, a uno dei giardini del principe di Biscari, degli orti dei Padri Cappuccini e dei Padri Domenicani. Oggi, come allora, questa macchia verde sulla mappa di città, si snoda tra viali e ponti, seguendo i capricci di tre morbide colline, per toccare quasi tutti i quartieri del centro. Gli schizzi delle fontanelle, i fiori profumati, le siepi perfettamente tagliate e l’ombra dell’enorme Ficus macrophylla, rendevano la Villa Bellini una perfetta e raffinata oasi di pace, gli esotici ospiti erano solo quel tocco di stravaganza necessario, per una città eclettica come Catania.
Vicino al Chiostro della Musica, l’elegante struttura in stile moresco, che ancora domina il polmone verde cittadino dal suo punto più alto, si trovava un’enorme voliera con pappagalli colorati. Altre due, invece, si trovavano nei pressi del Piazzale delle Carrozze: una ospitava altri uccelli variopinti, la seconda un solitario pellicano, che, come l’elefante Tony, avrà di sicuro fantasticato sulla sua fuga molte volte.
I pavoni invece, erano dei privilegiati e si godevano la loro libertà, aggirandosi indisturbati per i viali fioriti. In tanti riescono a ricordare la fontana centrale, in cima alla scalinata davanti all’ingresso principale, su via Etnea, ancora affollata da maestosi cigni e da un buon numero di socievoli anatre, le “papere”. Questi ultimi residenti del giardino scomparvero poi misteriosamente nel 1994; una mattina i custodi non ne trovarono neppure una.
Dopo il recente restauro della Villa Bellini, i volatili vennero per un periodo sostituiti da sculture in ferro battuto che tentavano di ricordarli in qualche modo.
Fatta eccezione di Tony, la cui permanenza tuttavia fu breve, gli animali che più in assoluto hanno segnato la memoria dei visitatori della Villa, tra gli anni Sessanta e Settanta, furono le scimmie. Anche loro purtroppo in gabbia, non lontano dal grande Piazzale delle Carrozze, incuriosivano i passanti e spesso venivano stuzzicate. Di indole dispettosa, infatti, di sicuro anche a causa della cattività, rispondevano come potevano a ogni provocazione: non era raro vederle tirare i capelli a qualche ragazzino che aveva osato sfidarle, avvicinandosi troppo alle sbarre. L’ultima fu Gino e l’espressione “pari Ginu ‘ra Villa” non era un complimento, si riferiva all’aspetto e alle movenze sgraziate della scimmia, lui di tanto in tanto mordeva pure.
Oggi, la crudeltà di assicurare con delle gabbie il divertimento dei frequentatori di quei viali alberati è, per fortuna, solo un antico ricordo. Purtroppo, però, anche il prestigio e la cura di quel recente passato sembrano perdersi nella memoria. La fontana, spesso asciutta, non attira più i visitatori con il suo zampillio, i busti dei nostri “uomini illustri”, frequentemente vandalizzati, si guardano mesti l’un l’altro e la lancetta dell’orologio, spezzata, è intrappolata in una infinita attesa.
Nonostante tutto, ogni giorno, il calendario floreale, adagiato come un ricamo sulla collina, ci ricorda la data, e la speranza di nuove glorie.
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