STORIA E TRADIZIONI
Anche ad Agrigento c'era la "Vucciria": un viaggio nella Giudecca della città dei Templi
Come il più famoso mercato storico di Palermo, il suo nome deriva dalla parola "bucceria", tratta dal francese boucherie, ma il contesto presente è del tutto diverso
"Vucciria", opera di Renato Guttuso (part.)
Al trono reale siedono Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, conosciuti anche come i re cattolici per la loro volontà di affermare il cattolicesimo come la religione del regno unito. È il 2 gennaio1492 e, con la conquista dell’ultimo pezzo di terra rimasto ancora sotto il dominio arabo musulmano, avviene la presa di Granada, e con essa la cacciata degli ebrei da tutti i territori spagnoli e quindi anche dalle isole di Sicilia e Sardegna, allora sottoposte al suo dominio.
Il nucleo ebraico in Sicilia costituiva la più importante comunità dell’Italia meridionale dal punto di vista numerico, economico e culturale. Basti ricordare che, al tempo della cacciata dall’isola, il numero degli ebrei, assumendo le varie statistiche fatte dagli studiosi, oscillava fra un minimo di ventimila ad un massimo di quarantottomila anime. Gli ebrei erano divisi in una sessantina di comunità sparse in tutta l’isola, con grandi centri nelle città di Palermo, Messina, Siracusa, Catania, Agrigento e Trapani.
Non mancavano i casi in cui, a causa di decisioni prese dal potere politico ed ecclesiale, gli ebrei erano costretti ad abitare entro zone limitate. In alcune città possiamo trovare anche più di un quartiere ebraico, come per esempio ad Agrigento.
Ecco, gli ebrei e Agrigento, e anche allora – con orgoglio - la città fu in grado di arricchire la vita culturale siciliana grazie ai numerosi ebrei che lavoravano come traduttori presso le corti dei principi e della nobiltà locale: Faraj di Salomone d’Agrigento, vissuto nel XIII secolo, fra numerosi altri libri di medicina, tradusse, su richiesta del re Carlo d’Angiò, un trattato di medicina dall’arabo, Il kitab al-zahrawi di al-Razzi, più noto come Liber continens, che introduce in Europa l’idea della vaccinazione, e in proprio come autore di un commento alla Guida dei Perplessi di Maimonide; e ancora Yehuda Shmuel ben Nissim Abu’l Farag d’Agrigento, che tradusse dal latino numerosi testi qabbalistici.
Agrigento è sede di una delle più importanti fiere del commercio ebraico, con mercanti che giungono da tutta la Sicilia e dalla Calabria, e centro di una ricchissima attività transattiva e immobiliare. Il quartiere ebraico era situato nella parte più antica di Agrigento, la «terra vecchia».
Questa comprendeva la cittadella, la cattedrale, fino alla porta Biberria e la parte occidentale della città, oltre il «recinto del mulino» (scomparso nel 1841, ex quartiere militare di S. Giacomo) e la strada Amalfitana, ora via Sferri.
«Ad Agrigento – scrive Claudio Castiglione, esperto dei luoghi - il quartiere degli ebrei – la cosiddetta “Giudaica”, termine che spesso indicava anche la comunità – era ubicato fra la chiesa di San Domenico e quella di San Giacomo. Inizialmente, come il vicino Rabato, era collocato fuori le mura, poi, per l’ampliamento di queste ultime nel corso del XIV secolo, venne inglobato nella città».
Qui la comunità ebraica agrigentina viveva e commerciava, e qui si trovava la sua principale istituzione - la Sinagoga - detta anche meskita, che sorgeva nei pressi del Palazzo Pujades, lungo la cosiddetta "Ruga Reale", a mezzogiorno dell’attuale via Orfane, all’incrocio fra le vie Sferri e Castagna. Malgrado ciò la meskita agrigentina, come le altre sinagoghe di Sicilia, non aveva un carattere monumentale ma era di estrema semplicità artistica e architettonica e poco si distingueva dall’edilizia privata circostante della Giudaica, con le sue piccole case solitamente a un piano nelle quali si concentrava la popolazione, mai troppo lontana dalla Sinagoga né dal Bagno Pubblico.
Quest’ultimo era il luogo di purificazione fisica più che rituale, costituito da una vasca circondata da cellette. Ad Agrigento, secondo lo studioso Giuseppe Di Giovanni, il Bagno Pubblico potrebbe individuarsi nel cortile del complesso in cui, pochi anni addietro, era in funzione il Distretto Militare.
Le botteghe e i banchi di vendita, per ovvi motivi di interesse, ossia per facilitare gli scambi fra le diverse comunità, potevano anche trovarsi nell’ambito dell’intera area commerciale della città; in particolare ad Agrigento nell’area compresa fra il piano Lena e l’attuale via Orfane.
Proprio all’inizio di questa strada, un arco basso e disadorno, inglobato in costruzioni più recenti, farebbe pensare alla bottega di un commerciante, in cui si barattavano panni – per la cui produzione la comunità degli ebrei agrigentini era particolarmente apprezzata – con cereali e altre mercanzie.
Secondo un’affascinante ipotesi potrebbe trattarsi della apotheka di Salomone Anello, ricco e pio mercante-banchiere. Nella Giudaica l’istruzione è assicurata dalla Scuola comunitaria, sostenuta con lasciti di benefattori, talvolta esponenti del mondo economico e finanziario, che, al fine di elevare il livello culturale della comunità, mettevano a disposizione non solo il proprio patrimonio, ma anche il proprio prestigio e la propria influenza.
Lo Studium di Agrigento era ritenuto fra i migliori del tempo: qui si insegnavano la legge mosaica, la lingua nazionale, il latino e il greco. Al suo funzionamento provvedeva un lascito annuo del già menzionato Salomone Anello, istituito nel 1470 e soppresso pochi anni dopo.
Fuori le mura, lontano da quello cristiano, si trovava il cimitero, che rispecchiava la semplicità della Giudaica tutta: nessun monumento sepolcrale, nessuna edicola o cappella, ma un semplice cippo quadrangolare con una breve iscrizione, come ancor oggi è possibile vedere nei ghetti di alcune città dell’Europa Centrale come Praga e Cracovia. Il cimitero degli ebrei agrigentini doveva essere a sud della città, immediatamente sotto la Porta dei Panettieri, i cui avanzi sono tutt’oggi ben visibili in via Empedocle.
E proprio a valle di questa porta d’accesso alla città rimangono tracce di quel meraviglioso giardino, prossimo al cimitero - situato sul poggio di Palaxino, ad est della chiesa di S. Diego -, conosciuto come Orto della Giudecca. Si scorge con nettezza in qualche foto antica: laddove oggi si trova l’ex scalo merci delle Ferrovie dello Stato, di fronte la chiesa di S. Lucia, c’era l’immenso rigoglio verdeggiante di una natura florida e bella, in un paesaggio di orti che dall’orlo della città degrada fino al mare.
Il podere è vicino a un piccolo quartiere che anticamente fu degli Ebrei, che proprio entro il piccolo perimetro della zona godevano del privilegio della macellazione della carne, ed è lì che si trova la Vucciria di Agrigento. Potremmo proprio chiamarla così, la via Boccerie.
Come il più famoso mercato panormita, il suo nome deriva dalla parola Bucceria, tratta dal francese boucherie, ma il contesto presente è del tutto diverso: una strada oblunga, stretta, in forte pendenza, ricamata fra archi e scalinate.
Soprattutto, è una via quasi del tutto disabitata, dall’aspetto tetro, una volta popolata dalle signore di piacere che hanno lasciato il posto – e le case, alcune delle quali segnata ancora da una luce rossa sul fronte dell’ingresso - a una solida comunità di senegalesi che ne invade l’aria con i profumi speziati della loro cucina.
E per un caso curioso, una sorta di paradosso pirandelliano che di frequente s’innesta alle vicende di Agrigento, è lì a due passi la loro moschea, fra le chiese cristiane nel quartiere degli Ebrei.
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