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Amato da Sciascia e da Buttitta: il poeta marsalese De Vita vince il premio Museo Nino Cordio

Considerato uno dei più importanti poeti italiani viventi, Nino De Vita preserva il dialetto siciliano e oggi è oggetto di studio, di tesi di laurea, è invitato nei maggiori festival di poesia

Jana Cardinale
Giornalista
  • 12 gennaio 2021

Nino De Vita

Ha da poco ricevuto l’ultimo di una serie innumerevole di premi letterari, il «Museo Nino Cordio» giunto alla sua dodicesima edizione e organizzato dal Comune di Santa Ninfa con la collaborazione della famiglia dell’artista scomparso a Roma nel 2000.

Nel corso della cerimonia, in streaming a causa delle restrizioni imposte per il contenimento dell’epidemia, ha dialogato con il regista Francesco Cordio e con il giornalista Vincenzo Di Stefano, oltre che, tra gli altri, con il regista Fabrizio Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, che per lui fu maestro e riferimento etico essenziale.

Sciascia e Nino Cordio erano molto amici, mentre Nino De Vita, considerato uno dei più importanti poeti italiani viventi, è attualmente componente del Consiglio d’amministrazione della Fondazione Sciascia di Racalmuto.

De Vita ha vinto in passato premi prestigiosi, tra cui il «Mondello», il «Moravia», il «Tarquinia-Cardarelli». È autore di una trilogia («Cutusìu», «Cùntura» e «Nnòmura») celebrata dalla critica letteraria e unanimemente giudicata il suo capolavoro.
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Importante la motivazione dell’ultimo, in ordine di tempo, premio letterario: «Voce poetica originalissima, capace di distillare versi preziosi, scritti in una lingua arcaica e meticcia – il dialetto della contrada marsalese di Cutusio – che porta nel suo genoma i cromosomi di svariati idiomi.

Con questa lingua, priva di tradizione letteraria ma viva sulla bocca degli abitanti della sua terra, egli ha opposto, alla consunzione dei linguaggi della contemporaneità, alla loro banalizzazione, al loro svuotamento, un codice linguistico puro, incontaminato, traducendolo poi in un italiano misurato e controllatissimo che sembra risentire della lezione del rondismo.

I suoi libri possono essere considerati parti di un unico grande poema in cui le vicende individuali dei personaggi, calati in un mondo brulicante di vita, assurgono a simbolo universale della condizione umana».

Il poeta marsalese è uno dei più significativi interpreti della grande tradizione letteraria della Sicilia. Al Centro Sperimentale di Cinematografia, ai Cantieri Culturali alla Zisa, anni fa, è stato anche tra i protagonisti della settima edizione del Premio Ignazio Buttitta, promosso dalla omonima Fondazione e nato, nel 2006, per essere assegnato a personalità siciliane che si siano distinte nelle scienze, nella letteratura, nelle arti, nel giornalismo e nell’editoria, e a personalità non siciliane che abbiano con la loro attività, significativamente promosso e valorizzato aspetti della cultura dell’Isola.

Proprio De Vita, di Ignazio Buttitta, ha “dipinto” un apprezzato ritratto nel volume “Òmini”. Tra le più significative e originali personalità della poesia italiana contemporanea, De Vita ha fatto della sua poesia in vernacolo alto un linguaggio universale, parola umana di rara limpidezza e profondità.

Nei suoi versi, nelle sue narrazioni tra mito e favola, c’è un universo intero che nella sua antica koinè esprime e rinnova un’emozione presente, e nella memoria, conservata e tutelata, prefigura il futuro come uno scorrere necessario del tempo, un divenire ineluttabile.

Oggi De Vita è oggetto di studio, di tesi di laurea, è invitato nei maggiori festival di poesia, recensito dalle firme più importanti della critica. Ha composto una poesia dedicata a Leonardo Sciascia in occasione dei dieci anni dalla sua scomparsa, che si trova adesso raccolta in un libro sullo scrittore di Racalmuto sempre a sua firma.

Sciascia ha rappresentato per lui un punto di riferimento fondamentale, sia sul piano culturale che su quello personale, come maestro e modello, non solo di scrittura. “Per 20 anni – dice – dall’autunno 1969 all’autunno 1989. L’ho conosciuto a casa di Enzo ed Elvira Sellerio. Avevo 19 anni”.

Altre figure autorali hanno influenzato maggiormente la sua formazione intellettuale: Consolo, Bufalino, Fiore... Maestri di un tempo, quello che lasciava la possibilità di pause lunghe, e anche di riflessioni attorno al libro che sta per nascere, a differenza di oggi, in cui c’è fretta di scrivere e pubblicare, con un’industria editoriale che pressa sugli scrittori.

La sua nuova raccolta poetica “Il bianco della luna - Antologia personale. 1984-2019”, per la nuova collana novecento/duemila della casa editrice Le Lettere, a cura di Diego Bertelli e Raoul Bruni, recensita con cadenza regolare sin dalla recente pubblicazione, è il bilancio di una vita in versi.

“Il bianco della luna” schiude le porte a una visione del mondo che nasce da uno dei suoi tanti ombelichi: la contrada siciliana di Cutusìo, il cui lessico dialettale permea l'opera, che diventa così lo scrigno di parole altrimenti a rischio di perdersi senza memoria.

Recensioni entusiastiche, che la individuano come possibilità per le nuove generazioni di scoprire o approfondire la poesia di uno degli autori più significativi dell’ultimo scorcio del Novecento e dei primi anni di questo secolo, in cui lingua e mondo si coagulano, fanno uso di un procedimento che non richiede forzatura ma il pudore di chi accoglie una tradizione e non rinuncia alla sua spinta verso il futuro. Il dialetto di De Vita possiede, infatti, questa dimensione pudica assieme a una carica di resistenza che continua a dire il passato, conservandolo nel proprio DNA.

È il racconto della memoria che spinge al mutamento, nonché il limite con cui lo stesso si scontra. La sua scelta, oggi altamente impopolare, di scrivere in dialetto, risponde alla volontà di rinominare tutte le parole che la lingua ha perduto, e quindi di salvare, assieme alla parola stessa, il carico di realtà che ciascuna porta con sé.

Ciò che caratterizza la poesia di Nino De Vita è, così, la ripresa, non solo di una lingua, ma anche del contesto in cui questa lingua viveva, e al quale la scrittura si prefigge di dare corpo e voce. Il poeta affida al recupero del dialetto un intero mondo che corre altrimenti il rischio di estinguersi insieme alle parole che lo esprimono.

Mentre continua a vivere con un garbo quasi contemplativo sia i successi che lo attorniano, magari immaginando un confronto come i più familiari avuti nel tempo con il suo maestro, che tanti stanno celebrando nel centenario della nascita, che lo scorrere della vita, in versi e in semplice quotidianità.
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