"S/T/R/A/T/E/S Quartet": hip hop e krump al Teatro Libero per raccontare schiavitù e razzismo

Una scena di "S/t/r/a/t/e/s Quartet"
La danza come linguaggio per raccontare temi duri, spinosi: al Teatro Libero di Palermo dal 15 al 17 novembre l'appuntamento è con lo spettacolo "S/T/R/A/T/E/S Quartet".
Prodotto da Cie Rualité – Parigi lo spettacolo è inquadrato nella nuova stagione del Teatro Libero di Palermo e racconta come, con la tratta e la schiavitù, l’Europa inventa il “negro”, un essere umano che compra, commercia, vende legalmente e con il sudore di cui costruisce le sue ricchezze.
In questo mondo che nasce, essere “bianchi” diventa associato alla bellezza, ai diritti naturali, alla libertà; l’essere “neri” alla servitù, alla bruttezza, all’ignoranza. L’abolizione della tratta degli schiavi e della schiavitù non pone fine a questa divisione del mondo. Al contrario, diventa uno spettacolo, oggetto di esposizione, di mostra.
Libri illustrati, cartoline, film, spettacoli mostrano il selvaggio, mostruoso doppio del civilizzato. Bintou Dembélé mette in luce il presente attraverso i fantasmi di un ingombrante passato: una memoria frazionata, frantumata, o semplicemente la storia di ciascuno.
Sono i corpi che si pongono tra ieri e oggi per colmare le lacune. Respiri, il rumore dei passi, improvvisazioni jazz, blues e polifonie d’ispirazione africane fanno risuonare la violenza delle tensioni e intenzioni dando inizio a gesti di infinita delicatezza.
Quei gesti che la coreografa usa per evocare le sue ferite, tra memoria, passato e presente mettendo in discussione le costruzioni contemporanee del “selvaggio”, un corpo usa e getta, una vita che non conta.
Prodotto da Cie Rualité – Parigi lo spettacolo è inquadrato nella nuova stagione del Teatro Libero di Palermo e racconta come, con la tratta e la schiavitù, l’Europa inventa il “negro”, un essere umano che compra, commercia, vende legalmente e con il sudore di cui costruisce le sue ricchezze.
In questo mondo che nasce, essere “bianchi” diventa associato alla bellezza, ai diritti naturali, alla libertà; l’essere “neri” alla servitù, alla bruttezza, all’ignoranza. L’abolizione della tratta degli schiavi e della schiavitù non pone fine a questa divisione del mondo. Al contrario, diventa uno spettacolo, oggetto di esposizione, di mostra.
Libri illustrati, cartoline, film, spettacoli mostrano il selvaggio, mostruoso doppio del civilizzato. Bintou Dembélé mette in luce il presente attraverso i fantasmi di un ingombrante passato: una memoria frazionata, frantumata, o semplicemente la storia di ciascuno.
Sono i corpi che si pongono tra ieri e oggi per colmare le lacune. Respiri, il rumore dei passi, improvvisazioni jazz, blues e polifonie d’ispirazione africane fanno risuonare la violenza delle tensioni e intenzioni dando inizio a gesti di infinita delicatezza.
Quei gesti che la coreografa usa per evocare le sue ferite, tra memoria, passato e presente mettendo in discussione le costruzioni contemporanee del “selvaggio”, un corpo usa e getta, una vita che non conta.
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