L'arte contemporanea (per la prima volta) al Parco di Segesta: la mostra tra i templi e la natura
L'opera "Spirale" di Costas Varotsos (foto di Gianluca Baronchelli)
Un dialogo costante con la natura, che può diventare potente, imponente, affascinante, maligna. E in un parco archeologico come quello di Segesta – la città elima fondata dai troiani in fuga che approdarono in Sicilia prima di raggiungere Roma – sembra quasi necessario il rapporto con un ambiente ancora vergine, dove il tempio e il teatro, paiono quasi chiedere permesso.
E proprio alle connessioni tra scienza, arte e paesaggio, con i suoi ritmi e i suoi numeri, tende la mostra "Nella natura come nella mente" che dal 14 aprile al 6 novembre vive alcuni spazi tra i più iconici del parco archeologico di Segesta.
Organizzata per il Parco Archeologico di Segesta – Dipartimento dei beni e dell’identità siciliana - Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana da MondoMostre, in collaborazione con la Fondazione Merz, curata da Beatrice Merz e Agata Polizzi, è un percorso a tappe, la ricerca di una narrazione comune tra artisti di linguaggio diverso, Mario Merz, Ignazio Mortellaro e Costas Varotsos.
Il ritmo, il numero può ritrovarsi ovunque in natura: la crescita di un vegetale che cerca di guadagnare la luce, ovvero il suo orientarsi perfetto; le spirali che dimostrano la volontà naturale di accrescere e occupare nel miglior modo lo spazio e, in questo caso, il palcoscenico. Estetica del necessario, oltre il tempo dell’uomo e del suo gesto.
Ed è altrettanto ovvio e quasi banale rammentare quanto i pitagorici dalla Grecia alla Magna Grecia e dunque anche alla Sicilia riconoscessero nel numero la base e l’origine di qualsiasi elemento dell’ambiente, attribuendogli perfino natura divina.
«I parchi archeologici divengono punti di riferimento per il territorio e luoghi d'incontro di diverse espressioni artistiche e culturali – interviene Alberto Samonà, assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana - Negli stessi mesi in cui la Regione promuove la ripresa di innumerevoli missioni archeologiche, si cercano nuovi codici di lettura come in questo caso: grandi artisti entrano in dialogo diretto con spazi dove la natura e la storia sono parte di un'unica offerta culturale. E riescono a darne una lettura immediata e di grande fascino».
Gli interventi degli artisti occuperanno l’intera area archeologica, dal tempio maestoso all’agorà, luogo di dialogo e incontro; il confronto con lo spazio è già vinto in partenza, nulla resterà, nessun segno del passaggio delle opere, contemporanee, reversibili, rispettose.
«Mario Merz, Ignazio Mortellaro e Costas Varotsos leggono il potere generativo del numero e dell’immaginazione, affrontano il tempo dilatato e la forma espansa, affrontano con elegante rispetto, l'armonica compostezza degli antichi manufatti, ma non si lasciano intimorire», spiegano Beatrice Merz e Agata Polizzi.
Nell’Agorà, la spirale in neon blu cobalto di Mario Merz [Un segno nel Foro di Cesare, 2003], è la rappresentazione grafica della ricerca di Fibonacci, il matematico medievale che aveva individuato nella serie numerica, il processo di crescita della vita. L’andamento curvilineo degli elementi che compongono l’opera, instaura una relazione dinamica con lo spazio, conferendo armonia nuova tra il materiale con la quale è realizzata e le antiche pietre di incontro dell’Agorà.
E proprio la sequenza rosso lava correrà sulle colonne del tempio, una sorta di guizzo al neon, velocissimo, a capitoli crescenti, proiettata verso il futuro [Fibonacci Sequence, 2002]. La successione numerica del matematico pisano (tra i temi ricorrenti della poetica di Merz) identifica l’armonia insita nella proliferazione di forme naturali che si ripetono incessantemente, origine di un universo del quale intuiamo solo in minima parte la struttura logica.
L’opera site specific di Ignazio Mortellaro [Primo punto dell’ariete] sorgerà nella zona dell’Antiquarium e da lì guarderà alla valle: dalla sua torre autoportante in acciaio Corten, si irradierà un suono arcaico, che diventerà ferino, forte, fisico e profondo, nato da un corno d’ariete fuso in ottone (sistemato alla sommità della torre), che richiami un strumento rituale di risveglio e rinascita, parli alla comunità e alla natura, valicando la valle, infrangendosi sulle montagne o perdendosi nel mare e che peraltro rammenta lo shofar ebraico, oggetto rituale delle comunità da sempre presenti nell’isola.
A destra del tempio, l’opera dello scultore ateniese Costas Varotsos [Spirale 1991-98], ricciolo barocco che proprio nella purezza e dialogo dei materiali (l’armatura di ferro e l’anima di vetro) e nella sua trasparenza, trova una forza energetica di grande impatto, sintesi di una riflessione sulla condizione umana e del suo rapporto ancestrale con l’Universo.
La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura, stabilendo un vortice di relazioni con la realtà circostante, spazio ideale, senza limiti e frontiere.
E proprio alle connessioni tra scienza, arte e paesaggio, con i suoi ritmi e i suoi numeri, tende la mostra "Nella natura come nella mente" che dal 14 aprile al 6 novembre vive alcuni spazi tra i più iconici del parco archeologico di Segesta.
Organizzata per il Parco Archeologico di Segesta – Dipartimento dei beni e dell’identità siciliana - Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana da MondoMostre, in collaborazione con la Fondazione Merz, curata da Beatrice Merz e Agata Polizzi, è un percorso a tappe, la ricerca di una narrazione comune tra artisti di linguaggio diverso, Mario Merz, Ignazio Mortellaro e Costas Varotsos.
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Il numero e la forma, il codice e la sostanza che esprime, si inseriscono in uno spazio vivo: numeri e scritture in neon blu e rosso - la sequenza di Fibonacci - si stendono sulle colonne dell’antico tempio, sculture di spirali trasparenti ed iridescenti, fatte – si penserebbe - per essere scolpite dalla luce; fusioni antiche di artisti contemporanei punteggiano lo spazio con la potenza dei riti arcaici che risuonano sulle colline.Il ritmo, il numero può ritrovarsi ovunque in natura: la crescita di un vegetale che cerca di guadagnare la luce, ovvero il suo orientarsi perfetto; le spirali che dimostrano la volontà naturale di accrescere e occupare nel miglior modo lo spazio e, in questo caso, il palcoscenico. Estetica del necessario, oltre il tempo dell’uomo e del suo gesto.
Ed è altrettanto ovvio e quasi banale rammentare quanto i pitagorici dalla Grecia alla Magna Grecia e dunque anche alla Sicilia riconoscessero nel numero la base e l’origine di qualsiasi elemento dell’ambiente, attribuendogli perfino natura divina.
«I parchi archeologici divengono punti di riferimento per il territorio e luoghi d'incontro di diverse espressioni artistiche e culturali – interviene Alberto Samonà, assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana - Negli stessi mesi in cui la Regione promuove la ripresa di innumerevoli missioni archeologiche, si cercano nuovi codici di lettura come in questo caso: grandi artisti entrano in dialogo diretto con spazi dove la natura e la storia sono parte di un'unica offerta culturale. E riescono a darne una lettura immediata e di grande fascino».
Gli interventi degli artisti occuperanno l’intera area archeologica, dal tempio maestoso all’agorà, luogo di dialogo e incontro; il confronto con lo spazio è già vinto in partenza, nulla resterà, nessun segno del passaggio delle opere, contemporanee, reversibili, rispettose.
«Mario Merz, Ignazio Mortellaro e Costas Varotsos leggono il potere generativo del numero e dell’immaginazione, affrontano il tempo dilatato e la forma espansa, affrontano con elegante rispetto, l'armonica compostezza degli antichi manufatti, ma non si lasciano intimorire», spiegano Beatrice Merz e Agata Polizzi.
Nell’Agorà, la spirale in neon blu cobalto di Mario Merz [Un segno nel Foro di Cesare, 2003], è la rappresentazione grafica della ricerca di Fibonacci, il matematico medievale che aveva individuato nella serie numerica, il processo di crescita della vita. L’andamento curvilineo degli elementi che compongono l’opera, instaura una relazione dinamica con lo spazio, conferendo armonia nuova tra il materiale con la quale è realizzata e le antiche pietre di incontro dell’Agorà.
E proprio la sequenza rosso lava correrà sulle colonne del tempio, una sorta di guizzo al neon, velocissimo, a capitoli crescenti, proiettata verso il futuro [Fibonacci Sequence, 2002]. La successione numerica del matematico pisano (tra i temi ricorrenti della poetica di Merz) identifica l’armonia insita nella proliferazione di forme naturali che si ripetono incessantemente, origine di un universo del quale intuiamo solo in minima parte la struttura logica.
L’opera site specific di Ignazio Mortellaro [Primo punto dell’ariete] sorgerà nella zona dell’Antiquarium e da lì guarderà alla valle: dalla sua torre autoportante in acciaio Corten, si irradierà un suono arcaico, che diventerà ferino, forte, fisico e profondo, nato da un corno d’ariete fuso in ottone (sistemato alla sommità della torre), che richiami un strumento rituale di risveglio e rinascita, parli alla comunità e alla natura, valicando la valle, infrangendosi sulle montagne o perdendosi nel mare e che peraltro rammenta lo shofar ebraico, oggetto rituale delle comunità da sempre presenti nell’isola.
A destra del tempio, l’opera dello scultore ateniese Costas Varotsos [Spirale 1991-98], ricciolo barocco che proprio nella purezza e dialogo dei materiali (l’armatura di ferro e l’anima di vetro) e nella sua trasparenza, trova una forza energetica di grande impatto, sintesi di una riflessione sulla condizione umana e del suo rapporto ancestrale con l’Universo.
La ricerca di Varotsos propone equilibrio tra arte e contesto, cercando la giusta proporzione tra azione umana e potere della natura, stabilendo un vortice di relazioni con la realtà circostante, spazio ideale, senza limiti e frontiere.
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