PALERMO AL DETTAGLIO
La Vucciria è musica: il suono delle bottiglie di birra (anzi, di champagne) tra le balate
Vi chiedo di chiudere gli occhi e pensare alla Vucciria di Palermo. All’esatto momento in cui "scendete" le scalinate da via Roma e vi dirigete verso la Taverna Azzurra
Una birra in Vucciria
È una musica naturale, una canzone pensata per nascere e morire in un luogo. Una canzone dedicata alle persone che frequentano quel posto. Non sempre ci facciamo caso, perché ormai ci siamo abituati, e sembra esser diventato un suono familiare, sano e doveroso.
Da qualunque parte della Vucciria di Palermo entri, che sia da via Roma o da piazza San Domenico o dalla adiacente piazza Garrafaello o da corso Vittorio, in lontananza, la sera, specialmente nel fine settimana e a tarda notte, la Vucciria si manifesta con largo anticipo, attraverso le sue bottiglie di birra.
Anche questo, penserete voi, è semplicemente un atto di inciviltà, del Panormosauro, termine che ormai sembra essere entrato nel vocabolario Zanichelli (un vero e proprio neologismo).
Ma anche questa volta, vi chiedo lo sforzo di apprezzare l’opera del Panormosauro, assiduo frequentatore di quel posto sacro, ex mercato storico di Palermo, oggi punto di ritrovo per divertimento e… vabbè, lo sapete.
Sono sicura che lo state sentendo. È quello "scruscio" di Forst, anzi, di Champagne misto al chiacchiericcio del popolo della Taverna Azzurra.
Ricordo ancora la prima volta che vi entrai e chiesi: "una forst, grazie". Quello sguardo mi si poggiò addosso come una lama. Ho letto esattamente il pensiero di chi mi stava servendo quella birra: "ma da dove viene questa? È di Milano?".
Quasi mi vergognai. Mi ricordai subito che la Forst, in Taverna, doveva chiamarsi in un altro modo. Ecco! "Anzi, uno Champagne per favore". Il volto gli si illuminò. Ora si che sono palermitana.
Perché è così. Chiamare con un altro nome una cosa, in modo non convenzionale, ci fa sentire speciali e parte di qualcosa o di qualcuno.
È lo stesso motivo per il quale tra fidanzati ci si danno dei nomignoli, spesso ridicoli. Ci fa sentire speciali, particolari. Io ogni volta che dico champagne in taverna e mi viene servita una forst, mi sento appartenere ad una determinata comunità.
Ma ritorniamo alle bottiglie. La gente che frequenta la Vucciria, dall’ora dell’aperitivo è tanta, specialmente nel fine settimana. Ci sono sempre alti e bassi, è chiaro.
Periodi di maggiore o minore affluenza che spesso dipendono anche dalla presenza o meno delle forze dell’ordine presenti sul posto.
Ma la Vucciria con la sua Taverna è lì, esiste sempre e da sempre. Non chiude, se non la domenica. È una di quelle certezze che ti fa sentire al sicuro, perché ci sarà sempre un posto dove andare, a qualsiasi ora della notte.
E lì, ci sono le bottiglie di birra che con il loro toccarsi a vicenda, cercando di sgusciare fuori da quel mare in tempesta, nel frattempo producono un suono che sembra il canto delle sirene. Ti attraggono con le loro canzoni. Ed è così che me le immagino.
Ogni bottiglia è una sirena nel mare delle balate della Vucciria. Così, sempre bagnate e umidicce. Le sirene emergono e si toccano tra loro e producono questo tintinnio soave che t’induce a prendere quell’ultimo champagne, prima della buona notte.
Eppure, i cestini ci sono. Io me li ricordo. Ma com’è possibile che il suono delle sirene di vetro si avverte lo stesso?
E tu, provi e riprovi a non calpestarle, ma qualcuna la tocchi a stento e lei scivola e va a toccare l’altra sirena, e nel frattempo ella scivolando canta e ne spinge un’altra e ne bacia un’altra ancora. Costantemente questo passaggio si ripete e si ripete ancora, ed è così che si crea la musica più bella del mondo.
Sembrerà assurdo, ma io amo questo dettaglio d’inciviltà. Questa caratteristica tutta palermitana.
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