SPORT
Finale di Coppa Italia: e se avessero vinto i rosanero?
Cosa sarebbe successo se il Palermo avesse alzato la Coppa al posto dell'Inter. Un racconto che si divide fra la dimensione onirica e lo spettro della Serie B
Finale di Coppa Italia, Inter-Palermo. Sembra essere passata un’eternità dall’assedio alla capitale dei 40mila palermitani vestiti di rosa e invece è successo tutto appena due anni fa. Al fischio finale dell’arbitro Morganti non solo si infrangevano i sogni dei palermitani che già si immaginavano campioni d’Italia per la prima volta, ma si sfaldava anche una squadra passata alla storia per essere stata la più forte di tutti i tempi: Sirigu, Cassani, Balzaretti, Nocerino e un raffinatissimo Pastore, altro che Morganella e Boselli, verrebbe da dire.
Ma cosa sarebbe successo se, quella sera, a gioire fossero stati i rosanero, al posto dell’Inter? Innanzitutto, per cominciare, bisognerebbe eliminare la causa principale della disfatta, quel Samuel Eto’o che da solo è riuscito a sgretolare la difesa rosa. Dopo di che basta lasciare andare l’immaginazione: Miccoli si inventa un gol dei suoi, 1-0 per noi e tutti a casa. Palermo campione d’Italia per la prima volta.
Scene di giubilo tra gli spalti, dove i 40mila prendono pieno possesso della città e festeggiano ininterrottamente fino al ritorno a Palermo dove trovano una città messa letteralmente sottosopra, invasa dalle bottiglie di spumante ammassate sui marciapiedi, tutta tappezzata da festoni rosanero che, probabilmente, sarebbero rimasti per anni ad ingiallire tra le strade, a ricordo di quella festa e della pigrizia: se ci fate caso in qualche rione popolare potete ancora trovare qualche vessillo con la A stampata a lettere cubitali, persino qualche vecchia Vespa interamente tinteggiata di rosa-nero.
Boom di tatuaggi per i sostenitori più incalliti e, presumibilmente, di pargoli ai quali affibbiare il nome Fabrizio, l’eroe della finale. Migliaia e migliaia di bandiere recanti il simbolo della vittoria sarebbero state conservate in eterno come una reliquia: se il Venezia, squadra della seconda divisione di Lega Pro, nel merchandising ufficiale porta ancora la coccarda della Coppa Italia vinta nella stagione 1940-41, come minimo i palermitani avrebbero sfoggiato quell’unico titolo almeno fino al tramonto della civiltà.
Magari quel successo avrebbe incentivato il presidente Zamparini a non smantellare la squadra, relegandola appena un anno dopo a lottare per non finire nel vortice della Serie B: impossibile immaginare Pastore ancora in rosa, l’offerta di 42 milioni del Paris Saint Germain sarebbe risultata irrinunciabile in qualsiasi scenario, ma con le colonne della squadra ancora al proprio posto e con qualche buon giovane acquistato per poca moneta, magari a quest’ora Palermo farebbe ancora parte della cartina del calcio europeo, una cassa di risonanza fortissima anche per il turismo.
Forse Delio Rossi sarebbe ancora in panchina, ma immaginare uno Zamparini che non esonera un allenatore per più di due stagioni è un’impresa folle anche per i sognatori più arditi. E chi lo sa, quel folle entusiasmo magari avrebbe convinto le istituzioni a dare il via libera per la costruzione del nuovo stadio tanto caro al presidente dei rosa, con l’aiuto di quei famosi sceicchi arabi che, non molto tempo fa, vennero nel capoluogo a promettere un Palermo da nababbi.
Palermo probabilmente sarebbe ancora la stessa, in tutte le sue eccellenze e contraddizioni, solo un po’ più colorata di rosanero e molto più orgogliosa della propria squadra che l’ha portata sul tetto d’Italia. L’unica certezza è che, di sicuro, non avremmo assistito alle contestazioni contro il presidente Zamparini di domenica scorsa: al contrario, stadio pieno tutte le domeniche, con le scene di follia pura all’apertura della campagna abbonamenti, proprio come nella stagione del ritorno nella massima serie.
Tutto ciò, più che un sogno, sembra la sceneggiatura di un film da Oscar che, purtroppo, non è mai andato in onda, un futuro immensamente lontano se si dà un’occhiata all’impietosa classifica odierna. Invece tutto ciò che ci resta di tangibile è il ricordo di un Olimpico quasi interamente a due colori, rosa e nero, di una squadra che una volta faceva tremare le grandi, di un entusiasmo che in città si respira solo nelle grandi occasioni.
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