MISTERI E LEGGENDE
Danisinni, il Papireto e il Nilo: storia e leggenda della "città invisibile" di Palermo
Un mistero fra i tanti di una Palermo luminosa nei coni d’ombra della storia. Il quartiere è ancora lì, un pezzo di gloriosa resistenza della campagna alla città nuova
La conca di Denisinni (tratta da "Le vie d'Italia" - Aprile 1931 Articolo originale di Roberto Lojacono)
Come scrive Marialuisa Palumbo, “ad attirare lo sguardo è l’apertura, il diradamento dell’edificato ma anche un evidente sprofondamento: Danisinni è uno spazio ribassato rispetto alla quota di imposta della città, una depressione che, sino al XVI secolo, raccoglieva le acque del fiume Papireto (acque che la leggenda voleva collegate al Nilo visto che, come ci ricorda il nome, anche qui crescevano i papiri).
Dopo l’interramento del fiume, Danisinni diventò rapidamente un pezzo di città fuori le mura: un fazzoletto di casupole a uno o due piani cresciute, col disordine armonioso e vitale tipico della città informale, intorno ai terreni fertili di quella che era stata una palude”.
Anche se dimenticato, Danisinni possiede una sua unicità per morfologia e storia, e sorge all’interno del percorso arabo-normanno della città; di più, nel tempo e grazie alla tenacia degli artisti, è finito con il diventare un epicentro culturale della street art palermitana con la creazione di un Museo Sociale che allestisce mostre e cura rassegne d’arte.
Ecco da un lato i movimenti solidali, e, dall’altro, gli incrostamenti cinici di un’immagine convenzionale: la periferia per sua natura deprivata e corrotta, isolata e falsificabile. Quest’alterità di Danisinni è rimasta come un segno distintivo del quartiere, in una lontananza che però ha il tratto felice delle leggende popolari che la riguardano, soprattutto quella del mitico tesoro.
Si racconta infatti che l’Emiro arabo Abu Sa’id, governatore di Palermo nel 916, fece costruire la sua dimora sopra la sorgente del fiume Papireto, che chiamò col nome di sua figlia, la principessa Aynsyndi; e sotto terra, assieme al fiume, si dice possa ancora nascondersi il suo tesoro.
Una mitologia fantastica, perduta in questa antica ansa del fiume fra orti e giardini segreti, che ha nella stessa depressione del terreno un suo fascino antico, giacché – secondo quanto scrive Sebastiano Pippo Morello - “le prime notizie storiche a noi pervenute risalgono all’epoca araba: un mercante di Bagdad ‘Ibn Hawqal, giunto a Palermo nell’anno 972-973, nel suo libro ‘Delle vie e del reame’, dà notizie dell’esistenza di una depressione a monte dello Hàrat as-Saqàabdh (il quartiere degli schiavoni), uno dei cinque quartieri in cui, nel periodo della dominazione araba, era divisa la città”.
Il richiamo al mondo mitico è presente nel testo, tradotto da Michele Amari, che dice: “Quivi stendesi anco una fondura tutta coperta di papiro, ossia bardì ch’è proprio la pianta di cui si fabbricano i tumar (rotoli di foglio da scrivere)… Io non so che il papiro d’Egitto abbia su la faccia della terra altro compagno che questo di Sicilia. Il quale la più parte è attorto in cordame per le navi e un pochino si adopera a far de fogli pel Sultano…”.
Forse perché il papiro cresce sulle rive magiche del Nilo dorato, la leggenda ha creduto che il Papireto ricevesse le sue acque dal fiume africano che per le vie sotterranee sgorgava dalla grotta grande di Danisinni. È certo che gli arabi sfruttarono le acque rigogliose di Danisinni, al punto che intorno all’anno Mille l’Emiro Giafar Ibn Yusuf fece costruire un acquedotto per approvvigionare alcune fontane della città, e la stessa origine del nome del quartiere pare risalga, verosimilmente, a una delle sorgenti che alimentavano il fiume, “forse proprio quella che scaturiva dalla grotta grande.
La sorgente – citata da ‘Ibn Hawqal – era chiamata”Ayu’abi Sa’Idin (la fonte di Abu Said), o forse prese il nome dalla bella Principessa figlia di un walì del tempo, Abu Said soprannominato Ahmad’ad Dayf , l’ospite, che sulla grotta costruì la sua dimora. Quest’ultima ipotesi potrebbe essere la più probabile perché avallata dalla tradizione popolare (…)".
"Nel XV secolo - continua Morello nel suo racconto - l’inquinamento delle acque del fiume e della palude raggiunse livelli di pericolosità tali che il Senato palermitano, nel 1489 decise il prosciugamento del fiume e il risanamento della palude, ma il progetto, che prevedeva la canalizzazione delle acque fino alla cala, fu messo in opera solo nel XVI secolo, grazie al pretore Salazar.
Il canale, ancora esistente, si trova a circa otto metri di profondità rispetto all’odierno piano di calpestio di piazza Danisinni. Furono proprio i problemi legati all’inquinamento la causa della fantasiosa diceria che le puntura di un insetto, particolare di questa zona, causasse la morte delle donne punte ‘in certi periodi del mese’. Si racconta infatti che i mariti che volevano sbarazzarsi della propria moglie, la portassero a passeggiare proprio in questi luoghi".
Ecco un’altra leggenda, secca e paurosa, una specie di vendetta deliberata contro l’istituzione matrimoniale, che rende questo luogo ancora più curioso e fantastico, nella sua lunga storia fatta di fiumi limpidi e di grotte, di lavatoi e di malattie contagiose, di casupole addossate e di rumore d’acqua percepito senza requie al silenzio, e del mistero del tesoro saraceno – una classica “truvatura” siciliana – nascosto da una nobile arabo contro il latrocinio di un fratello arabo ai danni della legittima erede, la bellissima principessa Aynsindi.
Un mistero fra i tanti di una Palermo luminosa nei coni d’ombra della storia.
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