Il Collettivo noMade presenta "In Arberia", l'installazione audio d'arte contemporanea

L'installazione di arte contemporanea "In Arberia" del Collettivo noMade è all’interno di "Ghostspace" (Collettiva d’arte contemporanea allestita nel sottotetto di palazzo Oneto di Sperlinga), in totale condivisione con i padroni di casa Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona e Cesira Palmeri di Villalba, ed è curato da Marilena Morabito, organizzato dall’associazione Acav, sotto la direzione fotografica di Stefano Milazzo.
"Arberia" è il nome che usano gli Arbëreshë (Albanesi d’Italia) per definire la loro nazione "sparsa" nell’Italia meridionale, dispersa geograficamente in molti luoghi ma unita dalla lingua. Infatti, l’antica lingua arbëreshë è stata parlata e trasmessa per generazioni dai discendenti di quei migranti che fuggirono dall’impero Ottomano e vennero a stabilizzarsi in Italia tra il XV e XVI secolo.
Una lingua che si è posta dunque come una sorta di confine, di argine, di contenitore identitario, scavalcando e mettendo in questione l’idea consueta di confine amministrativo-territoriale. Negli ultimi cinquant’anni, con l’abbandono dei paesi arbëreshë per via del fenomeno migratorio che ha riguardato tutto il Meridione e per la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa che hanno unificato la penisola sotto una stessa lingua, l’arbëreshë è sempre meno praticato.
Il collettivo noMade presenta un’istallazione che ripercorre il lavoro: una sintesi che offre una riflessione poetica intorno alle comuni radici mediterranee e la conoscenza primigenia. Il visitatore è invitato all’ascolto di un soundwalk che delinea un percorso sinestesico nei meandri della memoria collettiva.
"Arberia" è il nome che usano gli Arbëreshë (Albanesi d’Italia) per definire la loro nazione "sparsa" nell’Italia meridionale, dispersa geograficamente in molti luoghi ma unita dalla lingua. Infatti, l’antica lingua arbëreshë è stata parlata e trasmessa per generazioni dai discendenti di quei migranti che fuggirono dall’impero Ottomano e vennero a stabilizzarsi in Italia tra il XV e XVI secolo.
Una lingua che si è posta dunque come una sorta di confine, di argine, di contenitore identitario, scavalcando e mettendo in questione l’idea consueta di confine amministrativo-territoriale. Negli ultimi cinquant’anni, con l’abbandono dei paesi arbëreshë per via del fenomeno migratorio che ha riguardato tutto il Meridione e per la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa che hanno unificato la penisola sotto una stessa lingua, l’arbëreshë è sempre meno praticato.
Il collettivo noMade presenta un’istallazione che ripercorre il lavoro: una sintesi che offre una riflessione poetica intorno alle comuni radici mediterranee e la conoscenza primigenia. Il visitatore è invitato all’ascolto di un soundwalk che delinea un percorso sinestesico nei meandri della memoria collettiva.
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