AMICI ANIMALI
Rischiava l'estinzione ma è "corna dure": è una capra (rara) che incontri solo in Sicilia
Un animale autoctono dell'Isola che stava per sparire, fino a quando qualcuno non ha deciso di salvarla. Così oggi possiamo deliziarci con il "ficu" e la "mbriaca"
Un simpatico esemplare di capra girgentana
In un’epoca in cui mestieri come l'allevamento e l'agricoltura non ricevono la stessa attenzione di una volta, alcune ricchezze siciliane rischiano di scomparire ingiustamente. È proprio quello che stava per accadere alla capra girgentana qualche decennio fa, prima di essere salvata da un allevatore caparbio e risoluto.
Il nome di questo ruminante deriva chiaramente da Girgenti, anche se la sua origine è molto più lontana. Probabilmente l’esemplare è stato portato qui dall’Asia ed è stato poi allevato in Sicilia dagli Arabi. Nell'800 un geologo scozzese, Hugh Falconer, scoprì questo insolito animale durante uno dei suoi viaggi esplorativi ed è per questo che la capra viene chiamata anche Falconeri o Markhor (oggi diffusa in Pakistan, Afghanistan e Uzbekistan).
Inoltre, il pelo bianco non cresce uniformemente perché spesso sul corpo sono presenti anche delle zone di colore arancione. Sia gli esemplari di sesso maschile che quelli di sesso femminile hanno una piccola barbetta sotto al mento e un ciuffetto bianco sulla fronte, che gli allevatori tagliano per creare una frangetta.
Nonostante le numerose peculiarità estetiche della capra girgentana, il valore del ruminante deriva soprattutto dal suo latte. Questo liquido, a differenza di quello prodotto da altri animali, è molto simile al latte umano per il sapore e per le proprietà nutritive.
Chiaramente, grazie a queste qualità, anche i prodotti caseari che derivano dal latte della capra girgentana hanno un sapore delicato e risultano più digeribili di altri. Per questa ragione, fino al secondo dopoguerra, anziani e bambini erano i maggiori consumatori di questo latte.
Per molto tempo, gli allevatori giravano per la città e vendevano il loro prodotto porta a porta, mungendo le capre davanti alle case dei siciliani. Nella seconda metà del XX secolo, però, gli esemplari iniziarono a diminuire, così come i loro allevatori.
Per fortuna, negli anni ’80 un siciliano che era emigrato in Germania decise di tornare nella sua terra per riconnettersi con la natura in cui era cresciuto. Giacomo Gatì, pioniere del biologico in Sicilia, decise di allevare le ultime capre girgentane rimaste nel territorio per salvarle dall’estinzione.
Non avendo grandi conoscenze tecniche, Giacomo cercò dei collaboratori che si occupassero della lavorazione di prodotti caseari. Notando uno scarso interesse, prese in mano la situazione e iniziò a fare dei tentativi con l’aiuto di alcuni amici. Per fortuna, dopo diversi esperimenti, Giacomo riuscì ad aumentare il numero di capre e a creare diversi formaggi.
Dal 2009 la produzione è stata affidata a Davide e Valeria Lo Nardo, che nel caseificio producono 40 tipi di formaggi derivati dal latte di capra girgentana. Tra le realizzazioni maggiormente apprezzate ci sono: il ficu (un formaggio avvolto nelle foglie di fico), la mbriaca (una caciotta immersa nel Nero d’Avola), la cinniri (che viene lasciata riposare avvolta dalla cenere del legno di mandorlo) e, infine, la tuma ammucciata.
Quest’ultima viene riposta in sagome di gesso che ricordano il nascondiglio utilizzato dai produttori del secolo scorso, che dovevano trovare degli stratagemmi per evitare il furto dei loro prodotti durante la notte.
Oggi gli esemplari di capra girgentana sono aumentati e rientrano nella lista dei Presidi Slow Food per la salvaguardia delle razze autoctone e della biodiversità. Grazie alle attività della fondazione, ormai quasi 80 nazioni hanno deciso di tutelare le loro ricchezze.
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