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Chi ama leccarsi i baffi non potrà resistere: le dolci paste delle monache siciliane del '700

Nel Settecento la vita monastica veniva "addolcita" con ricette di ogni genere e tipo che mettevano dentro i più buoni ingredienti provenienti dalle terre siciliane

  • 2 maggio 2020

Arancia candita per dolci

Nel ‘700 a Palermo, una delle curiosità che caratterizzava la vita monastica, era che ciascun monastero, quasi fosse un distintivo, aveva una “Piatta“, cioè un manicaretto tipico.

Fu così che ogni Convento si specializzava unicamente nel confezionare un determinato dolce, forse per evitare concorrenza. A quanto pare, la bravura delle suore suscitò qualche gelosia tra i cuochi dei palazzi nobiliari: al confronto delle suore qualsiasi dolciere si doveva andare a nascondere...Tutti i pasticcieri della città gareggiavano nel comporre ghiottonerie d'ogni maniera, ma chi poteva mai raggiungere la squisitezza dei “frutti di pasta reale“ (dolce di mandorle) del Monastero della Martorana?

Il “riso dolce” (bollito e insaporito con miele, cannella e ricoperto di cioccolata) era prerogativa delle basiliane del monastero di San Salvatore. Tutti preparavano conserve di “Scorzunera“, (dalla radice di una pianta) ma nessuno attingeva alla perfezione di quelle del convento di Montevergini, come nessuno sapeva fare la “cucuzzata“ ( zucca condita) o il ”bianco mangiare“ ( specie di gelatina di crema di pollo; oppure a base li latte, mandorla e cannella) come le Domenicane di Santa Caterina.
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Molti si vantavano del loro “pan di spagna“, ma in confronto a quello del monastero della Pietà, qualunque dolciere doveva andarsi a nascondere, o le cosiddette “sfincie fradici o ammilati“, composte da uova e panna, del monastero delle Stimmate. Centinaia di “cassate“ si riversavan fuori dal convento di Valverde per la Pasqua, e la settimane prima, per il Carnevale, migliaia di “cannoli“ di vera ricotta e di “cassatine“ della Badia Nuova, alla quale nessuno poteva negare la palma dell'inaugurazione del calendario dei rituali dolciumi.

Il convento di San Vito, primeggiava con i suoi “agnelli pasquali“ (dolci a forma di agnello di mandorle, glassa e confetti ripieni di conserva), con lo “sfinciuni“ e con “la pasta con le sarde“, piatto nazionale della felicissima nonchè golosissima capitale dell'isola.

La Concezione, era nota per i suoi “muscardini“ (biscotti croccanti aromatizzati alla cannella) per il Festino di Santa Rosalia ed il “bianco mangiare” (crema bianca a base di latte di mandorle e cannella). I Sett'Angeli, con le loro “mustazzoli“, le impareggiabili “sussameli" (biscotti durissimi in bagno di sciroppo), le “minne di Virgini” (cassatelle a forma di mammelle simili a quelle che a Catania si preparano in onore di Sant’Agata) , i “biscotti con il sesamo” (strunziddi di l’ancili) e la “caponata”.

Alle Stimmate, realizzavano le ”sfinci ammilati” (pastella fritta al miele) che pure nel medesimo monastero assurgevano a squisitezza impareggiabile nella forma delle “sfinci fradici“ (sfinci ammilati ma ripieni di crema pasticcera). Grandeggiava anche SantaTeresa con le “cassate in freddo“.

Ma c'erano monasteri d'origine inferiore, che tanto lusso non potevano permettersi ed anch'essi, nelle loro modeste sfere, avevano le loro specialità, quale per lo scacci: ceci, mandorle, fave, avellane ( monastero delle Cappuccinelle), le “olive ripiene“ erano la specialità del monastero dell'Assunta.

Erano celebri le “feddi“ (in siciliano le “natiche”, quindi, è chiara l’allusione al “culo” delle suore) delle benedettine del Gran Cancelliere e per il dolce di pasta di mandorle dalla forma bombata e ripieno di marmellata di albicocche; le suore di Santa Elisabetta, elaboravano le “ravazzate“ (dolci fritti con ripieno di ricotta) e le “nucàtuli” (impasto di mandorle, fichi secchi, uvetta e miele chiusi in pastafrolla). Le benedettine dell’Origlione erano maestre per le “impanatiglie di conserva” (dolcetti di pasta frolla a forma di semiluna ripieni di carne, mandorle, noci, cioccolato, zucchero, cannella e chiodi di garofano).

Le suore del Conservatorio di Santa Lucia, erano famose invece per la “cuccia” (frumento bollito condito con crema di ricotta), in ricordo del voto fatto alla Santa che fece arrivare a Palermo, dopo un periodo di carestia, una nave carica di grano.

Anche nei periodi di digiuno, durante i quali non era permesso mangiare carne, latte, formaggi, uova e grassi animali, le monache non lesinavano dolci e così inventarono i “quaresimali” (biscotti croccanti a base di farina, zucchero e mandorle) e per Pasqua la facevano da padroni “i pupi con l’uovo” (dolci di pasta frolla a forma di pupattolo in cui veniva inserito un uovo sodo).

Per San Martino, infine, i “biscotti di San Martino” nella variante “chini” (inzuppati in liquore e farciti con crema di ricotta) e “decorati” (ricoperti di glassa e confetti e ripieni di conserva), entrambi accompagnati da vino moscato. "E come a lato del male sta il bene, così quasi a rimedio delle indigestioni per tante cassate, cannoli, frutti, mandorle, ravazzate, c'era la Badia di Santa Rosalia che compieva il pietoso ufficio di preparare un antiacido medicinale di sicurissimo effetto".

Fino al 1970, era possibile acquistare i cannoli presso le suore del Monastero delle Vergini (dalla parte che dava in Piazza Venezia). Attraverso una ruota (simile a quella che veniva usata quando si abbandonavano i neonati) si porgeva il denaro e poco dopo si ritirava il vassoio con i dolci. Erano i famosi “cannoli ra ‘za monaca” (i cannoli della “zia” monaca).
Oggi, la maggior parte di questi dolci non sono più in vendita. È una perdita della nostra cultura culinaria.
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