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Un enigmatico dipinto ci racconta la Palermo della morte tra esecuzioni, rei e chiese

Quanti di noi hanno visto film storici in cui è rappresentata l’esecuzione a morte per impiccagione? L'intrigante storia di un dipinto nel "Triangolo della buona morte"

  • 7 maggio 2019

L'albo della Confraternita degli Agonizzanti di Palermo

Quanti di noi hanno visto film storici nelle cui scene è rappresentata l’esecuzione a morte di un reo a mezzo dell’impiccagione? Immaginate questa scena rappresentata non attraverso la magia del cinema ma nella cruda realtà palermitana Settecentesca.

Girovagando per il centro storico di Palermo non è difficile trovarsi di fronte a chiese e monumenti misconosciuti.

Una di queste è sicuramente la chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti in via Giovanni Da Procida, struttura immersa nell’humus del Guzzet, un misto tra le tre religioni monoteiste per eccellenza (Ebraismo, Cattolicesimo e componenti Islamiche non indifferenti).

Nella toponomastica della Palermo Araba il quartiere del Guzzet era delimitata dalla famosa Porta Bab al-hadid alias "porta del Ferro o Judaica" che immetteva nell’Harat al-Yahud, ossia al "quartiere degli Ebrei" dove sorgeva l’antica Sinagoga e che successivamente prese il nome di Mesquita o Meschita.
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Scendendo per la strada dei Calderai si arriva alla chiesa degli Agonizzanti che ha una storia particolare ed intrigante poiché è uno dei punti di un ipotetico "Triangolo della Buona Morte" che comprende, in un fazzoletto di terra del centro storico, ben tre chiese dedicate a questa pia usanza di condurre i condannati, gli agonizzanti o chi è vicino alla morte ad una riconciliazione con Dio e che elenco in un ordine logico e consequenziale: la Congregazione di Sanata Maria degli Agonizzanti che si occupava di pregare per l’anima dei condannati a morte o degli agonizzanti, la Compagnia di Sant’Orsola dei Negri, con i teschi esposti nella facciata principiale della propria Chiesa, che si occupava di seppellire i defunti, L’Arciconfraternita dei Miseremini nella chiesa di San Matteo e Mattia al Cassaro che si occupava invece di pregare per le anime del purgatorio.

Insomma, con gli adeguati sostegni economici, legislativi e sociali, queste compagini offrivano un servizio completo e si era coperti prima e dopo la morte, gran bella consolazione.

Ma torniamo alla rappresentazione in esame, all’interno della chiesa si trovava un dipinto della metà del XVIII° secolo, ora conservato nel Museo Diocesano di Palermo, raffigurante la condanna a morte di un reo nella piazza Marina.

Nella tela in questione, oltre alla rappresentazione dell’esecuzione, sono evidenti la chiesa di San Giovanni dei Napoletani, la Compagnia del SS. Crocifisso dei Bianchi e, all’esterno, la Congregazione degli Agonizzanti che assiste con preghiere all’esecuzione.

Inoltre, nel dipinto si notano sia il tirapiedi, che si avvinghia al condannato per trascinarlo verso il basso, ed al Boia Maggiore che appoggia i piedi sul collo del condannato per spezzarlo, perché doveva sì morire ma senza sofferenze o spasmi, almeno gli si riservava questa delicatezza.

L’opera commissionata raffigura, presumibilmente, un richiamo alle origini della Congregazione e ad un fatto risalente al 1613 e che diede impulso alla fondazione della Congregazione stessa dalla Compagnia di San Girolamo: un certo Francesco Anello da Caccamo il quale, vedendosi prossimo alla dipartita, chiese alla Compagnia dei Bianchi di far avvicinare un algoziro ed i confrati, pensando che volesse scaricarsi la coscienza, acconsentirono.

Ebbene l’Anello fece un tentativo per soffocare l’algoziro che riuscì a scamparla per poco ed il reo di peso venne impiccato all’istante tra le sue bestemmie e maledizioni il ché diede grave scandalo ai presenti: ma si può morire mai così? In tutti i sensi, direi.

Con la speranza che la tela torni a casa propria, non mi resta che invitare voi, carissimi lettori, a visitare sia l’edificio, piccolo gioiello neoclassico, ed anche per dare un’occhiata all’archivio seicentesco della Congregazione.

Ndr: avremmo voluto inserire un'immagine del dipinto ma non è possibile fotografarlo.
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