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Quattro bambini videro apparire la Madonna: era il 26 maggio 1967 a Cefalà Diana

In Sicilia, a pochi passi da Palermo, nel 1967 accadde qualcosa che cambiò per sempre la vita di tante persone. Una storia che i giovani di quel luogo vogliono tenere viva

  • 30 maggio 2021

Capita, purtroppo, che le storie vengano dimenticate. E capita a volte che qualcuno senta l'esigenza di ricordarle, di tirare quelle storie fuori dall'oblio perchè fanno parte del proprio vissuto, anche se indirettamente. Come nel caso di Filippo Barbaria, che al tempo dei fatti che vi stiamo per raccontare non era neppure nella mente del Signore.

Era il 26 maggio del 1967 e a Cefalà Diana, piccolo paese a circa 30 km da Palermo, accadde qualcosa che segnò la vita di tutti, grandi e piccoli. Scettici e non. Quattro bambini, Francesco, Roberto, Antonino e un altro Antonino, il più piccolo, tra i 9 e gli 11 anni, videro apparire "la Madonna" sulla collina in cui si trovava - e si trova tutt'oggi - il vecchio castello del paese.

Tra gli articoli di giornale di quel tempo e che sono stati conservati, ce n'è uno in cui vi è il racconto di quel giorno, un racconto fatto da uno dei bambini. Piangeva. Perchè? gli chiede il giornalista, «Perchè ho visto la Madonna» risponde. «Era bellissima - proseguirà il bambino - aveva le mani unite come se pregasse e muoveva la testa così...». La Madonna, aggiunse, non disse nulla, loro furono presi da grande emozione e commozione.
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Giocavano tra le rovine del vecchio Castello che appartenne ai principi di Carini e che domina la valle di Cefalà Diana dall'alto di una collinetta. Giocavano agli indiani quando Roberto sentì un rumore assordante, tanto assordante da scappare impaurito. Gli altri tre lo guardavano senza capire, perchè non avevano sentito alcun rumore. Già, il racconto dei quattro ragazzini è lo stesso: solo uno di loro sentì quel boato, ma solo agli tre toccò "vedere". E videro la Madonna affacciarsi alla finestrella della torre di quello che era un rudere.

Racconti di cosa successe quel pomeriggio - perchè erano le 16 quel giorno di primavera - sono raccolti anche in diversi libri come "Cefalà Diana, un evento da ricordare. Le apparizioni della Madonna Addolorata nel maggio 1967" di Francesco Paolo Pasanisi, ma anche in pubblicazioni di altri autori tra cui, per citarne alcuni, Giuseppe La Bua, Onofrio Barbaria, Enzo Prenutati. Quelli in possesso di Filippo, narrano l'episodio così: "I giovani videro tre lunghi serpenti senza testa; poi presi dalla paura si nascosero dentro la torre. Li uno di loro, Roberto, udì un forte boato e gridò «usciamo, usciamo perché crolla la torre!». Nello stesso istante spaventati scapparono da quel posto e voltandosi videro l'immagine della Madonna Addolorata che li abbagliò di un'intensissima luce.

Antonino Barbaria si fermò e girato lo sguardo verso la visione, si accorse che questa teneva le mani giunte e muoveva anche le labbra come se volesse dire qualcosa. Ma la paura ebbe la meglio e i quattro ragazzi fuggirono verso il paese, precisamente verso la canonica. In paese la prima persona ad apprendere la notizia fu la catechista, la Signorina Gaetana Guttadauro La Blasca, che appena ebbe udito le affermazioni dei ragazzi: «abbiamo visto la Madonna Addolorata come quella che c’è in parrocchia!» rimproverò i ragazzi perché non si doveva scherzare con cose serie come questa".

Le voci a Cefalà Diana si rincorsero velocemente anche perchè il parroco di allora, Padre Castrenze La Barbera, si trovava a Palermo, poiché insegnava lì e quindi non poté intervenire tempestivamente sulla vicenda. La notizia in poche ore raggiunse le contrade vicine arrivando anche al comune di Villafrati, dove in quel periodo erano accorsi dei cronisti per altre vicende di cronaca. Immediatamente si recarono a Cefalà Diana. In poco tempo la storia dell'Apparizione uscì fuori dai confini del piccolo paese, balzando sulla cronaca nazionale.

Gianni Daniele, un giornalista, cronista di nera, recatosi sul posto insieme al fotografo Nino Sgroi tre giorni dopo, scrisse un articolo (lo trovate nella gallery, ndr) in cui dichiarò di aver lui stesso visto la Vergine, avvolta in un manto nero, con un viso dolcissimo e le mani bianchissime giunte come in preghiera. Lui, che quando arrivò a Cefalà Diana per scrivere di questa storia si definiva assolutamente scettico e "molto poco suggestionabile" proprio per la sua professione, e che riteneva che si trattasse di un'allucinazione collettiva, tornò a casa certo di ciò che aveva visto.

Si legge in una delle pubblicazioni che "quel pomeriggio il giornalista cominciò a salire tra le balze del colle del castello, dopo un'attenta visita ai ruderi, con aria sempre dubbiosa, osservò il gioco di luci e ombre che si erano formate sulla parete interna alla finestra delle visioni, ciò avrebbe potuto ingannare chiunque. Mentre stava percorrendo la strada del ritorno un gruppo di persone lo fermò chiedendogli: "L'ha vista?"; egli infastidito disse di no ma voltatosi rimase impietrito: la massa scura al centro della finestra, improvvisamente prese forma ed egli vide il dolcissimo volto dell’Addolorata.

Vedendolo sbiancare e con la pelle accapponata il fotografo e la gente intorno gli chiesero cosa avesse ed egli non poté che ammettere di averla vista e disse: «li c'è la Madonna e Dio mi perdoni se è un’allucinazione“» Il giornalista rimase talmente sconvolto che ebbe bisogno di sostegno per essere riaccompagnato ed il giorno dopo venne ricoverato in clinica per accertamenti".

Considerato l'enorme afflusso di giornalisti che nei giorni seguenti invasero il piccolo borgo si pensò di istituire presso l'ufficio postale una sala stampa di fortuna e i giornalisti poterono quindi comunicare con le redazioni di appartenenza e lanciare le agenzie di stampa. Anche il Giornale di Sicilia e L'Ora contribuirono alla diffusione della notizia così come alcuni quotidiani locali del nord e nazionali. Il Messaggero pubblicò la notizia il 17 giugno, riportando il servizio del suo inviato. Ma ad occuparsi del "caso" furono anche quotidiani tedeschi e francesi. Per alcuni mesi si susseguirono incessanti i pellegrinaggi da ogni parte del mondo, e quello che era un paese sconosciuto ai più, diventò metà di fedeli, credenti, che stavano lì giorni nella speranza di potere "vedere". C'erano anche tanti semplici curiosi.

Secondo quanto si apprende, "In tutto questo clamore, la posizione che fece più scalpore fu quella assunta dalle gerarchie ecclesiastiche e del parroco del paese, che cercarono di mantenere il più stretto riserbo sulla faccenda. Mons. Castrenze La Barbera rimase costantemente cauto nel giudicare questi fenomeni, anche per evitare eventuali strumentalizzazioni sulle apparizioni mariane da parte dei cittadini e della politica locale che, in quel periodo, si accingeva a rinnovare il parlamento dell'assemblea siciliana.

Mons. La Barbera si prodigò affinché non si lucrasse sull’accaduto. I fedeli e i devoti continuarono a giungere ininterrottamente. Spesso le apparizioni sacre si manifestavano ai non credenti, a quelli che di solito non frequentavano la chiesa e ai fedeli che erano in minoranza; quindi non si può parlare di suggestione di persone pie ma tutt'altro. Le apparizioni avevano prodotto calma e tranquillità nell'animo di tutti accrescendo la fede e la carità".

Per qualche tempo, mi racconta Filippo, si verificarono delle guarigioni e diverse persone ricevettero delle grazie. Una in particolare, rivelata solo due anni dopo da Mons. Castrense La Barbera, fu la guarigione miracolosa di un bambino di sei anni a cui era stato diagnosticato un tumore all’ultimo stadio allo stomaco. Fu operato d'urgenza ma senza alcun risultato, perché i medici ritennero che il tumore fosse inoperabile e che il bambino avrebbe avuto pochi giorni di vita.

La madre a quel punto, disperata, si sarebbe recata nella cappella dell'ospedale per pregare la Madonna Addolorata affinché il figlio venisse salvato dal brutto male. La signora dichiarò che durante la preghiera sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e udì nello stesso tempo una voce che le diceva di andare a riprendere il proprio figlio. Immenso fu lo stupore quando nel tornare nella camera del figlio trovò il bambino alzato dal letto; a quel punto, allarmata, chiamò i medici. Il bambino fu sottoposto ad una analisi approfondita e si accorsero che il tumore era scomparso del tutto. Per i medici era un miracolo.

Le apparizioni e le manifestazioni mistiche continuarono per mesi, poi l'attenzione della sulla stampa scemò, la Chiesa smise di parlarne e l'afflusso di pellegrini e di devoti cominciò a diminuire. In memoria di questo evento straordinario si pensò di costruire un piccolo Santuario, che rendesse omaggio alla Madonna Addolorata. La sua realizazione durò circa due anni con notevoli difficoltà legate alle proprietà dei terreni e al progetto che fu finanziato interamente da donazioni private e dal lavoro manuale dei fedeli del paese.

La storia di quel 26 maggio 1967 pian piano è stata dimenticata, ma non da chi a Cefalà Diana ci vive.

«Qui se ne parla spesso - racconta Filippo -. Anche tra noi ragazzi. È un bel ricordo per noi, sempre emozionante. Una storia tramandata di famiglia in famiglia e a cui siamo legati e credo che sia giusto ridarle un posto nella memoria e farla conoscere, seppur dopo oltre 50 anni anche a chi non ha idea di ciò che successe qui.

Non sta a me convincere le persone e non intendo farlo, il mio unico intento è fare qualcosa affinchè questo fatto per noi importante non sia dimenticato. Ho fatto una raccolta degli articoli di giornale dell'epoca che sono conservati nella nostra Chiesa, il parroco li ha conservati. Vorrei che si ritornasse a parlare questa storia - continua - perchè Cefalà Diana è anche un luogo con un richiamo spirituale molto forte e tanti non lo sanno».

Filippo tiene a ringraziare tutti coloro che hanno lasciato una traccia di questa storia ai giovani e in lui è forte il desiderio che tutto questo non vada perso. «Le memorie storiche di qui vanno svanendo, per questioni di età la maggior parte di chi ha vissuto quel periodo non c'è più e tocca a noi giovani prenderci cura di quella storia, della nostra storia e tramandarla».
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