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"Biagio road", sulla strada del frate laico: la (vera) storia di via Decollati a Palermo

Questa strada per gli ultimi porta a un ricovero, a vestiti puliti, a un pasto caldo. È tra magia e fede la devozione verso queste Anime da cui la via prende il nome

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 13 gennaio 2023

La scritta "Biagio Road" in via Decollati

Il cippo votivo della fine del 700', o la colonnina com’era chiamata, è ancora lì vicino al Ponte Ammiraglio all’inizio di via Decollati, ed è distrutta. Nessuno ha pensato di rimetterla a posto dopo che un autoveicolo l’ha travolta distruggendola.

Eppure era il limite di una strada che ricordava una devozione particolare a Palermo, quella verso i condannati a morte, i cui corpi erano interrati in una fossa comune. È qui che i migranti, arrivati in Sicilia, cercano aiuto, caduti spesso in un nuovo incubo, dopo quello che hanno lasciato nel loro paese d’origine.

Camminano su via Decollati, dove s’incontra un’insegna improvvisata: Biagio Road. Lì vicino la ferrovia e la "Missione Speranza e Carità" fondata da Fratel Biagio.

Questa è per tanti la “Strada di Biagio”, porta a un ricovero, a vestiti puliti, a un pasto caldo. Tutto a due passi dal Santuario. Era tra magia e fede la devozione verso queste Anime senza un nome e una degna sepoltura, con le teste staccate dal corpo e affisse.
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La domanda del come e perché ci si affidasse ad assassini, rivoluzionari, cospiratori, può non trovare una risposta immediata.

Tra questi “delinquenti“ sappiamo che vi erano anche patrioti e tantissime vittime innocenti, condannate seguendo logiche di potere e vendette private. Tutti finivano in quel cimitero (fossa comune) vicino al fiume Oreto.

Questo stesso fiume che nel 1881 esondò, distruggendo la “Chiesa di Santa Maria del fiume”, poi ricostruita con il nome “Madonna del Carmelo ai Decollati”.

Poveri resti portati via e dispersi di queste anime senza pace. Era fuori questa Chiesa che erano esposti i teschi dei giustiziati a Piazza Marina per impiccagione o decapitazione, a imperituro e feroce ammonimento.

Il popolo probabilmente sapeva che dietro questi giustiziati c’era tanto da dire e obiettare, forse perché più cristiani del clero, credevano anche che a nessuno dovesse essere negato l’ingresso nel Regno dei Cieli, a fronte di un pentimento sincero.

Inoltre quella condanna, con una morte così atroce era già una forma di espiazione, un pagamento per loro colpe, sempre che ne abbiano avuta una. Racconta Pitrè che le donne si recavano verso il fiume in processione, il lunedì o venerdì notte fino alla Cripta, ognuna con la sua preghiera, grazia o richiesta di responso.

Recitavano il Rosario in dialetto accompagnato da preghiere che iniziavano con: “Pi li flagelli e battitura, Vui ch’avisti, Signuri, pi li chiova arribbucati, l’armi di corpi decollati arrifriscati”.

C’erano poi le litanie tramandate oralmente, alcune ancora ricordate, come quella che diceva “li me guai e li me angustie ci contati, Diu vi paga a carità”.

Aggiungendo: “porti sentiri sbattiri, cani sentiri abbaiari, sta Grazia l’aviti a fari, senza farimi scantari”. È in quel “ scantari” che subentrava l’aspetto magico della Devozione, si attendeva al buio un segnale spesso sonoro che diventava la risposta delle anime secondo un codice popolare.

Questo poteva essere "il fischio di un treno, il canto di un gallo, il raglio di un asino, lo scroscio dell’acqua, l'abbaiare di un cane", di volta in volta segni buoni o cattivi.

Le anime dei Decollati rispendevano accogliendo o negando la grazia richiesta. Equiparati in un certo modo alle anime del Purgatorio, rientravano in quella prassi di devozione, ricordata anche da Dante nella sua Cantica.

Nel capolavoro della Letteratura Italiana, le anime si affollavano per chiedere una preghiera, condizione che diminuiva il tempo di permanenza nel luogo a loro deputato per l’espiazione dei peccati, accelerando l’ingresso in Paradiso.

Così l'invocazione rivolta ai condannati a morte, creava un rapporto, uno scambio tra il richiedente e le anime dei giustiziati, che ricordati a Dio, restituivano il favore, intercedendo affinché fossero esaurite richieste e grazie.

Un’effige rappresentava Maria e i corpi dei decollati avvolti dalle fiamme, invocanti grazia e perdono, vicino i simboli del loro "martirio" la forca e la ghigliottina.

Vi era poi una grata con gli ex voto che nel tempo si erano accumulati testimonianza di grazia e potere. Quel che rimane del Cippo è un mucchio di materiale divelto, su cui ancora qualcuno, si ostina a porre fiori e lumini, le litanie ancora ricordate resistono seppur in forma ridotta, come l’antica pratica della processioni notturne dove, probabilmente, sarà compresa quella predisposizione all’ascolto per cogliere i responsi delle anime dei Decollati.

Pitrè così descriveva questa forma di religiosità: “uomini e donne, giovani e vecchi tutti hanno un voto o una preghiera …da compiere per questi Geni Occulti del Bene, pronti a soccorrere chi li preghi di consiglio o aiuto, chi cerchi a essi un segno della sua sorte a venire”.

Entità non più maladette dalla giustizia degli uomini, fallace e spesso bugiarda ma intercessori potenti, anime senza più un luogo dove far riposare i propri resti mortali, dispersi nella città ma sempre operatori del bene, vicini alle richieste del popolo.

Un popolo che è cambiato nel corso dei secoli ma che ha la stessa disperazione e bisogno d’aiuto, oggi lo vediamo su via Decollati portandosi dietro ricordi e tormenti, chiede a chi incontra se si trova sulla ”Biagio Road”, sono i diseredati gli ultimi, come le anime dei condannati a morte, percorrono la loro strada alla ricerca d’aiuto.

“Tutti fratelli e tutti stranieri”, vivi ma feriti nel corpo e nello spirito, chiedono speranza, carità e grazia, tutti alla ricerca dei nuovi Geni del Bene, non più occulti.
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