CINEMA E TV
Sei storie vere raccontate da giovani registi: "Oltreconfine" tra Palermo e Berlino
Si possono guardare online i sei episodi di "Oltreconfine": serie girata tra l'Italia e la Germania in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo
un fotogramma del film "Sans sommeil" della regista Sarah Yona Zweig
I sei episodi della serie si basano sui progetti di docu-film ideati dagli studenti della Deutsche Film-und Fernsehakademie di Berlino e del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, seguiti in fase di scrittura e di ripresa da Andres Veiel, uno dei più popolari e premiati documentaristi europei, e Stefano Savona, regista e documentarista palermitano.
Si tratta di "Houzayfa’s Items" di Carlotta Berti, Virginia Nardelli e Alessandro Drudi, "Mangoes grow in Winter" di Benedetta Valabrega e Claudia Mastroroberto, "Filthy Maddening Race" di Luca Capponi e Alessandro Drudi, "175 km" di Borbála Nagy, "Historia Magistra Vitae" di Tamara Erbe e "Sans Sommeil" di Sarah Yona Zweig.
Sono le reali storie di Houzayfa, figlio del primo astronauta siriano, costretto dal padre a lasciare Aleppo durante la guerra civile siriana portando con sè pochissimi oggetti, unico legame con il suo passato, e di Balde, diciannovenne senegalese che oggi vive a Palermo e che nel suo telefono cellulare trova l'unico ponte in grado di avvicinarlo alla famiglia e agli affetti lontani.
O ancora quella di un gruppo di migranti dell’Est europeo che si trovano al confine tra Serbia e Ungheria, aspettando il momento in cui finalmente, dopo mesi di freddo e fatica, potranno attraversare il muro che li separa dall'Europa, e quella del giovane soldato Alpár che ha il compito di impedire nuovi ingressi proprio da quel confine: due storie che pongono l'accento sull'assurdità della politica ungherese lungo i confini del Paese e sul terribile processo di disumanizzazione dei migranti che ne consegue.
Sono i ricordi di Dara Mayer, scappata in Germania durante la guerra in Croazia nel 1991, e la rinascita di alcune donne che a Berlino trovano la cura delle ferite dell'anima con la poesia di una danza giapponese, con la quale entrano a contatto grazie a un workshop di butō destinato proprio alle donne in esilio.
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