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"Non è una targa": in via Roma c'è una memoria di pietra che racconta una storia

La targa fu realizzata da Ernesto Basile su richiesta della comunità friulana di profughi che volle ricordare così l'ospitalità ricevuta durante e dopo la Prima Guerra mondiale

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 11 gennaio 2021

La targa commemorativa del Palazzo Assicurazioni Venezia di via Roma a Palermo

CANCELLATA LA BARBARICA ORMA / COL SANGUE DEGLI EROI / E CANTATO IL GRANDE EPINICIO / DALLO STELVIO ECCELSO / ALL’ADRIATICO MARE / I PROFUGHI / CUI DOLORANTI E DEPRECATI / PALERMO / SCHIUSE LE FIORITE BRACCIA / RENDENDOSI AI SERENATI LARI / QUESTO MARMO VOTIVO / CEMENTANO / MCMXIX.

È questa la suggestiva iscrizione che reca la targa affissa sul cantonale smussato destro del Palazzo Liberty delle Assicurazioni Venezia che Ernesto Basile realizza nel 1912 all'apice del riconoscimento artistico e professionale nel secondo decennio del secolo scorso.

Quando Basile riceve nel 1919 la singolare richiesta di una targa commemorativa da affiggere su una sua opera urbana, il suo parlamento di Montecitorio è già stato inaugurato da quasi un anno nella singolare coincidenza della fine vittoriosa per l'Italia della Prima Guerra Mondiale, la quale ha prodotto milioni di vittime, creando al contempo centinaia di migliaia di profughi provenienti dalle aree del conflitto più aspro e sanguinoso del Nord-Est a ridosso del Carso.
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In questo frangente ogni regione del paese è chiamata ad accogliere quote di profughi e anche la comunità siciliana volle e seppe fare la sua parte con proverbiale spirito d’accoglienza. Ne ricorda tale slancio “d'accoglienza cristiana” proprio la piccola targa marmorea bianca immersa nei rumori del traffico veicolare abituata da tempo ai nostri distrattissimi sguardi contemporanei.

La si trova sul cantonale smussato destro appunto, del pregiato Palazzo basiliano che chiude di fatto la corsa dello sventramento della via Roma a margine della piazza Colonna a incrocio con la via Cavour.

È una semplice targa commemorativa voluta e promossa dalla comunità friulana di profughi che, nella volontà di ricordare ad imperitura memoria l'ospitalità ricevuta durante e dopo il conflitto, richiese all'ormai riconosciuto maestro del floreale italiano, l'intervento dai forti rimandi evocativi e simbolici.

La chiarezza della soluzione colpisce ancora oggi per il rigore e la limpidezza compositiva affidata ad un elemento parallelepipedo inciso, recante iscrizioni e dedicazione, stretto sui tre lati inferiore e laterali da una cornice scolpita, mentre dal lato superiore scende nella mezzeria, la massa di trecce annodate con fiocchi e nodi al festone centrale superiore, quest'ultimo aggettivato da quattro volute che rendono sinuosa la catenaria dello stesso a grani fitomorfici.

Ai quattro angoli ritroviamo quattro chiodi marmorei, espedienti di mestiere nel raccordo necessario del manufatto alla parete. Per analogie stilistiche rispetto ad altre coeve realizzazioni del tutto similari, non è errato attribuire alla bottega di Gaetano Geraci la realizzazione della piccola opera marmorea in cui la dimensione scultorea floreale minimale restituisce la grande capacità di adattabilità della poetica di Basile anche su piccolissima scala, metodologia compositiva tramandata nelle aule della Regia Università così come tra le aule dell’Accademia di Belle Arti a generazioni di allievi ed epigoni.

Insomma, se qualcuno ancora avesse dubbi, non esiste sfida progettuale di piccola o grande dimensione che il maestro non accolga con il massimo impegno e serietà di intenti, pienamente consapevole del mandato universale del significato di “progetto” inteso come grande privilegio di miglioramento degli habitat antropici indipendentemente dalla tipologia del manufatto chiamato a realizzare.

Forse, parafrasando il genio magrittiano, potremmo dire che “questa targa, non è una targa”. È molto di più infatti, è storia e costume, è arte, è identità in memoria di pietra.
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